LETTURE/ “Dove va la poesia?” Da Sereni a Caproni e oltre, la parola dimenticata

- Max Ferrario

I grandi poeti italiani del secondo 900 sono fuori dalle antologie scolastiche. E i docenti non li insegnano. Anche il mercato librario fa di tutto per tacerli

giorgiocaproni 1280ignani wikipedia 640x300 Giorgio Caproni (1912-1990) (foto Dino Ignani, da Wikipedia)

Dove va la poesia? Riflessioni sul presente, a cura di Mauro Ferrari (puntoacapo Editrice, 2019) raccoglie una serie di analisi sulla situazione della poesia italiana che partono dalla semplice constatazione, riportata nel pezzo di apertura a firma del curatore, secondo cui da decenni “i poeti più recenti affrontati dagli studenti sono gli stessi” rispetto agli anni Settanta. Una situazione che non riguarda solo la poesia, ma un po’ tutte le materie di studio, tanto che il baricentro della scuola sembra essere fermo al primo Novecento. Ferrari, che insegna inglese nei licei, scrive chiaramente che le colpe non sono degli insegnanti né dei libri di testo, ma di un più ampio contesto culturale.

La poesia, in quanto fuori dal mercato librario e dalla spettacolarizzazione che, almeno in certa misura, interessa anche la narrativa mainstream, soffre ben più di altre forme artistiche e culturali. Ferrari si concentra poi sui grandi poeti degli ultimi cento anni (Sereni, Luzi, Caproni, oltre ai viventi), che faticano a trovare spazio e che invece sarebbero potenzialmente ben più interessanti per gli studenti, e il cui lavoro finisce per non avere impatto sulla vita culturale del paese.

Di chi la colpa, insomma? Ferrari addita i nessi perversi tra grande editoria e critica accademica, ma anche la tendenza dei poeti a non dialogare con la scienza e soprattutto a dare ai critici un’autorevolezza – e quindi un potere – che nel passato erano più correttamente attribuiti ai poeti stessi: “Occorre che la critica sia di nuovo fatta dai poeti”, afferma con forza.

I poeti e critici che si alternano nei contributi ampliano la visuale sul panorama contemporaneo: Corrado Bagnoli parla di una “trascendenza della parola poetica” che è “fondata sulla fisicità”; Luigi Cannillo e Manuel Cohen analizzano alcune macro-tendenze del contemporaneo, così come Roberto Chiapparoli e Guido Oldani parlano del Realismo terminale; Marco Marangoni riflette sul linguaggio poetico nell’“Età dell’ansia” e Mario Gerolamo Mossa dei testi dei cantautori; Carla Mussi parla dello stridore tra mondo contemporaneo e attività poetica, mentre Franco Nasi apre una finestra sul mondo anglosassone; Giancarlo Pontiggia insiste sulla continuità tra presente e passato classico; Alfredo Rienzi sul rapporto tra poesia e contemporaneità tecnologica e Salvatore Ritrovato sul “pubblico della poesia”; Francesca Serragnoli scrive su poesia e bellezza ed Emanuele Spano su poesia e scuola; Alberto Toni su poesia e critica; Giuseppe Zoppelli sull’idea di lirica.

La silloge propone quindi interventi anche eterogenei, e non ha certo pretesa di esaustività, ma piuttosto di rappresentare un’ampia ricognizione e riflessione sulla minacciata sparizione della poesia.





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