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Home » Cultura » Storia » LETTURE/ Il diario di Laurence Picq, scampata all’inferno dei Khmer Rossi

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LETTURE/ Il diario di Laurence Picq, scampata all’inferno dei Khmer Rossi

Chiara Pajetta
Pubblicato 16 Agosto 2025 - Aggiornato alle ore 09:28
Teschi di persone uccise dai Khmer Rossi esposti a Phnom Penh (Ansa)

Teschi di persone uccise dai Khmer Rossi esposti a Phnom Penh (Ansa)

Tradita da una rivoluzione impazzita, una francese "molto ideologizzata e molto innamorata" denuncia l'orrore del genocidio dei Khmer Rossi 1975-1979

È un drammatico diario di sopravvivenza il coinvolgente libro Oltre il cielo. I miei anni con I Khmer Rossi nella Cambogia del genocidio, 1975-1979 (Tra le righe libri, 2025). Autrice Laurence Picq, una giovane studentessa che nel 1967 si sposa appena ventenne con il cambogiano Suong Sikoeun, venuto in Francia con una borsa di studio e legato ai circoli marxisti della Parigi degli anni 60.


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Infatti le vicissitudini che dovrà affrontare Laurence, per seguire l’amore della sua vita, ingenuamente attratta dal fascino ingannevole dell’utopia rivoluzionaria di Mao e Pol Pot, la costringeranno a sacrifici inauditi.

Il suo è un resoconto scabro e avvincente dei cinque terribili anni (1975-1979) vissuti nella Cambogia rivoluzionaria (rinominata Kampuchea Democratica), dopo un periodo trascorso nella Cina maoista, in cui si era trasferita con le forze comuniste cambogiane, a seguito del colpo di Stato del 1970. Insieme con le sue due bambine, Narén e Sokha, lasciando Pechino si era poi ricongiunta al marito Sikoeun, già approdato nella capitale cambogiana Phnom Penh, dopo la presa del potere dei Khmer Rossi nel 1975.


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Lui, vicinissimo al sanguinario Pol Pot, era avviato a diventare un alto dirigente e lei era pronta a condividerne l’audace progetto rivoluzionario. Sikoeun era impegnato a fianco di Ieng Sary, il ministro degli Esteri della Kampuchea Democratica, che verrà accusato di genocidio nel 2009 dal Tribunale speciale della Cambogia.

Ma Laurence inizialmente non riusciva a percepire tutto l’orrore che stava travolgendo il Paese e di cui anche il marito era responsabile, perché credeva alle parole dello stesso Ieng Sary. “Stiamo facendo qualcosa che non è mai stato fatto prima nella storia dell’umanità”, affermava con orgoglio il braccio destro di Pol Pot.


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Dunque “17 ore di lavoro al giorno, scarsità di cibo, un clima pervasivo di sospetto reciproco e un continuo invito alla delazione, sedute di confessioni pubbliche, epurazioni e scomparse improvvise e quindi – ovviamente – paura diffusa”, come efficacemente osserva Antonia Arslan nel suo “invito alla lettura”, non erano sufficienti per smascherare la realtà violenta e disumana di quella rivoluzione impossibile, guidata dalla follia lucida e implacabile dei Khmer Rossi.

Khmer Rossi per le strade di Phnom Penh il 17 aprile 1975 (Ansa)

Persino il marito aveva dei dubbi su di lei che, utilizzata come traduttrice, era pur sempre un’infida occidentale, sospettata comunque come spia nemica. Per di più aveva due bambine piccole, troppo attaccate alla mamma, prigioniera ancora di modelli borghesi: le figlie verranno perciò affidate alle nutrici di regime. Eppure Laurence resiste alle sofferenze, al disagio, alle insistenti cattiverie e alle vere e proprie ostilità dei compagni e dei quadri del partito comunista di Kampuchea, lei che ha lasciato tutto per inseguire il sogno cambogiano di un mondo nuovo, combattendo senza risparmiarsi per un avvenire in cui crede con tutte le sue forze.

Non fugge davanti alle difficoltà, anche se si sente costantemente in pericolo e manca totalmente del sostegno del marito, occupato in ben altre faccende, legate alla sua ascesa politica. E una moglie straniera dubbiosa sui meriti indiscussi della rivoluzione potrebbe diventare un intralcio insopportabile.

Ma lentamente l’utopia perde di credibilità e progressivamente la paura prende il sopravvento, soprattutto quando Laurence si ritrova incinta: la lotta disperata per resistere le apre in qualche modo gli occhi. Aveva accettato di condividere la vita ai vertici del potere dei Khmer Rossi, collaborando con le sue traduzioni destinate all’estero, rimaneggiate dai quadri del partito per nascondere la realtà crudele e violenta della rivoluzione cambogiana e gli evidenti fallimenti economici.

Ora però riconosce il suo compito fondamentale: salvare le figlie che tanto stanno patendo a causa della sua lontananza e delle condizioni di vita sempre più dure: si lavora tantissimo ma i raccolti sono miseri, la fame dilaga. La nuova prospettiva è la fuga, proprio quando, all’inizio del 1979, il Vietnam invade la Cambogia, alla faccia di tutti i reboanti proclami di vittoria sul nemico dei Khmer Rossi.

L’esodo allucinante attraverso una Cambogia devastata, insieme con i funzionari del regime, è descritto con sobria fedeltà e rimane impresso nell’animo del lettore per le scene di paura, fame, sete, gli attacchi inaspettati, la stanchezza infinita per le marce forzate e la disperazione vinta solo dall’istinto di sopravvivenza.

La tenacia della giovane francese è indomabile, difende con forza le sue figlie, riesce miracolosamente a partorire un maschio, che purtroppo morirà, e infine a tornare in Francia, dove diventerà testimone infaticabile degli orrori a cui inizialmente si era adeguata e che poi ha poi coraggiosamente denunciato.

A 50 anni esatti dalla presa di potere dei Khmer Rossi in Cambogia, il 17 aprile 1975, possiamo affermare, senza tema di smentita, che “la conoscenza  e la coscienza del genocidio che seguì temporalmente e soprattutto che ne conseguì logicamente non sia diffusa come sarebbe doveroso che fosse”. È ciò che sottolinea Marco Respinti nella sua precisa introduzione storica al libro di Laurence Picq, uscito originariamente in Francia nel 1984 e tradotto in italiano e pubblicato quest’anno.

La scrittrice era inizialmente e ideologicamente coinvolta in quell’illusione che ha causato orrori, crimini ed ecatombi nella Cina maoista e nella Cambogia dei Khmer Rossi. Ma ha dovuto aprire gli occhi sia di fronte allo sfacelo del Paese, sia di fronte all’abbandono del marito da lei amato oltre ogni limite.

Laurence ha saputo mantenere viva la speranza (Oltre il cielo è infatti il bel titolo del libro), anche quando è stata costretta a riconoscere che il sogno rivoluzionario della Cambogia, in cui aveva creduto senza riserve, era in realtà un incubo e ha dovuto affrontare la fuga per sopravvivere con le sue figlie.

Avrà certamente avuto modo di riflettere sulla spietata follia del progetto dei Khmer Rossi, nato dal sogno di superare l’ideale terroristico della Rivoluzione Francese. Proprio a Parigi hanno studiato sia il marito di Laurence che Ieng Sary, ambedue collaboratori stretti di Pol Pot, e dalla Francia hanno preso a modello il moto rivoluzionario del 1789.

Lo hanno però considerato incompiuto, anzi da completare in una forma estrema, oltre lo stesso comunismo cinese, nell’esperimento della rivoluzione cambogiana, che ha letteralmente divorato i suoi figli con un genocidio senza pari: nel giro di pochi anni le vittime sono state quasi due milioni!, un quarto di un intero popolo, di una nazione.

La lettura di Oltre il cielo ci mette dunque in guardia dalle sirene delle ideologie, che in qualunque tempo vengono alla fine sconfitte dalla forza della realtà, che richiama l’uomo alla sua profonda dignità e alla sincera passione per il vero bene comune.

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