Ieri "Repubblica" ha pubblicato un’intervista “ritrovata” di Vittorio Lingiardi a Testori su Pasolini del 1982. Ma la sua attualità è assoluta

Era il 1982. Un gruppo di universitari aveva organizzato al Teatro Fontana di Milano una rassegna di film intitolata L’imminenza di Cristo in Pasolini. Il ciclo, come pure il bel titolo, erano nati da un suggerimento di Giovanni Testori.

“Un bel titolo, che nelle anime partigiane del tempo viene vissuto come ‘scippo culturale’”, commenta Vittorio Lingiardi, oggi scrittore di successo e psicoanalista, che allora aveva vent’anni e collaborava per Radio Popolare, emittente della sinistra milanese.



“Ero un’anima partigiana, ma la questione dello scippo culturale mi sembrava idiota”. Il giovane Lingiardi propose di realizzare un ciclo di interviste dal titolo altrettanto efficace Di chi è Pasolini. E il primo a essere cercato fu proprio Giovanni Testori, ideatore del presunto “scippo”.

Ne era nata un’intervista trasmessa a Radio Popolare e poi un’amicizia tra Lingiardi e lo scrittore durata fino alla sua morte al San Raffaele. “Incontrare Testori a vent’anni è stata una benedizione e ovviamente una maledizione”, ricorda Lingiardi, che avrebbe sottoposto allo scrittore anche i suoi primi tentativi poetici.



Sono passati oltre 40 anni e Lingiardi continua a conservare i segni di quell’incontro giovanile, come dimostrano alcune pagine del suo ultimo libro, Corpo, umano, un successo editoriale diventato anche un reading portato in tante piazze italiane insieme ad un’attrice, Federica Fracassi, che è una delle più brave interpreti delle opere teatrali di Testori.

Qualche tempo fa, sistemando i cassetti di casa, Lingiardi si è ritrovato tra le mani la cassetta di quell’intervista. L’ha riversata, ascoltata e ha deciso di trascriverla per pubblicarla sul quotidiano con cui collabora, La Repubblica.



Su Pasolini Testori era intervenuto solo in altre due occasioni: un articolo sul Corriere in difesa del suo film scandalo Salò e le 120 giornate di Sodoma e un intervento struggente e drammatico in occasione della morte, pubblicato su l’Espresso. Interventi in circostanze speciali che non gli avevano permesso di fare una lettura più approfondita, come invece accade in occasione della lunga intervista per Radio Popolare.

Il primo tema su cui viene sollecitato è naturalmente quello dello “scippo” culturale da parte dei cattolici. “Un autore è lì e la sua opera manda degli allarmi, delle sollecitazioni”, risponde Testori. “Ora, che questi allarmi, queste sollecitazioni, vengano accolti dai cattolici, e i cattolici cerchino di capire con un po’ di apertura, con più amore, disposizione e bisogno, quello che Pasolini ci ha lasciato, mi pare solo la prova di un’attenzione”.

Testori sottolinea come la sua storia venga da “una matrice culturale e familiare di paese, di tradizione e lingua cattolica”, una matrice che Pasolini s’è “portata sulle spalle e nel cuore, perché non è stata solo un peso, è stata anche una luce”. Anche in un film disperato come Salò Testori coglie il persistere di questa matrice: “Emerge sempre in Pasolini, soprattutto nel regista e nel poeta, questo appoggiarsi, non per stanchezza, ma per stabilire un riferimento, a elementi di espressione visiva o verbale profondamente inseriti nella tradizione nazional-popolare e dunque anche cattolica”.

Nel dialogo c’è spazio anche per una sincera sottolineatura critica: “Se c’è un limite in Pasolini è proprio quando affronta l’avvenimento sessuale. Nella sua narrativa in particolare, non c’è mai una storia d’amore, l’amore non è mai portato fino alla consumazione, allo strazio. C’è qualcosa di fugace, come una leggera isteria, invece di un’umana e totale compromissione di sé nel rapporto”.

Ma nel cuore di chi oggi legge questa intervista resta impressa in particolare questa sottolineatura: “Nella persona di Pasolini ci sono un tale pianto, una tale coscienza della ferita dell’uomo, che un vero cattolico, anzi un vero uomo, non può non esserne preso, affascinato e chiamato in causa”.

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