Oggi la nostra libertà non è più scontata. Neuroscienze e AI la limitano davvero? Se ne parla oggi al Meeting di Rimini

Senza dubbio la libertà costituisce uno dei problemi più accesi e meno scontati nella cultura contemporanea. E non soltanto al livello della riflessione teorica – filosofica e scientifica –, ma anche e soprattutto al livello dell’esperienza vissuta delle persone. Essere o non essere liberi, ancor più, sentirsi liberi o costretti è senz’altro qualcosa che fa la differenza nel nostro stare al mondo.



E anche qualora i condizionamenti e i vincoli sembrino costrittivi e insuperabili, anche quando ci sembra di essere in trappola rispetto a quello che invece vorremmo, anche allora – o forse proprio allora – emerge in tutto il suo peso il differenziale “libertà” per l’esperienza umana.

Da un lato dunque la libertà è il valore o il bene più alto, più ricercato, più rivendicato oggi, incomparabilmente più che in altre epoche; dall’altro lato però essa è spesso messa in questione o in dubbio, e in alcuni casi clamorosamente negata, di fronte al fatto che in definitiva noi saremmo sempre e completamente “determinati” da fattori naturali o da condizionamenti sociali.



Naturalmente questo non può voler dire che sarebbe azzerata la nostra capacità di scelta tra alternative diverse, o che il nostro libero arbitrio sarebbe semplicemente annullato. La tesi di coloro che vogliono ridurre tutta la dinamica dell’umano e l’azione delle persone alla determinazione causa-effetto di tipo naturalistico concede che la libertà al limite potrebbe rientrare in questo campo di forze perché statisticamente abbiamo quasi sempre più di una sola possibilità tra cui optare. E dunque la libertà andrebbe intesa, in senso residuale, come un calcolo delle probabilità di scelta (tutte a loro volta determinate dalle relative condizioni) e addirittura andrebbe collocata nel regime del caso immotivato.



Proprio perché tutti noi sappiamo per esperienza quando ci sentiamo liberi e quando no, la tesi secondo cui la libertà sarebbe solo un’illusione ha molto da spiegare, per non restare una teorizzazione staccata dalla vita concreta. E difatti ogni riduzionismo a volte appare più un partito preso che una verifica di dati empirici o comportamentali. E così la libertà spesso diviene una pietra d’inciampo non solo per la riflessione filosofica ma anche per le scienze della mente, che così tanti progressi stanno raggiungendo, ma per le quali la libertà resta ancora un casus belli.

Tuttavia, come è stato da più parti notato – pensiamo alle riflessioni di Isaiah Berlin – la libertà non è pensabile solo come assenza di condizionamenti in una scelta individuale, la cosiddetta “libertà negativa”, ma anche come capacità di aderire a qualcosa che venga riconosciuto come un bene per sé e che quindi può far fiorire o compiere la propria condizione umana, la cosiddetta “libertà positiva”.

L’auditorium del Meeting durante la lezione di Erik Varden (foto Meeting di Rimini)

Per questo, prima ancora di una definizione teorica del concetto di libertà, la cosa interessante è soprattutto capire in cosa consista l’esperienza della libertà, ossia quando e perché ci rendiamo conto di esserci liberati, cioè di esser passati da uno stato di coercizione (interna o esterna che sia) a uno stato di soddisfazione e realizzazione di sé.

Insomma, a livello vissuto, la libertà non è solo la capacità ancora astratta di operare delle scelte, ma si presenta come una vera e propria scoperta di sé come un essere capace di prendere l’iniziativa.

D’altra parte proprio le neuroscienze ci ricordano che tutti gli agenti biologici riescono a sviluppare, per via evolutiva, una certa flessibilità di risposta e di adattamento agli stimoli ambientali. Sarebbe questa anche per gli esseri umani l’unica accezione di libertà compatibile con la storia della nostra specie?

Ma di nuovo si presenta la domanda: per un neuroscienziato (oltre che naturalmente per un filosofo) è pensabile la possibilità di una mente non-condizionata, cioè libera? Una mente cioè che possa iniziare qualcosa di nuovo, non solo come effetto o reazione o conseguenza di pre-condizioni determinate?

Se poi, nell’arco non ancora compiuto dell’evoluzione, passiamo dal nostro passato biologico al nostro futuro “digitale”, è ancora la libertà a costituire il problema decisivo e infuocato. In particolare l’intelligenza artificiale, benché si presenti come un fattore di straordinaria liberazione e moltiplicazione delle nostre possibilità di scelta, sembra condurre a un sostanziale indebolimento della nostra azione libera e responsabile.

Si apre qui uno scenario che finora sembrava essere appannaggio dei racconti distopici, ma che si sta delineando come una possibilità non lontana – almeno secondo l’auspicio di alcuni o il timore di altri –, e cioè che l’intelligenza artificiale possa raggiungere un livello di “generalità” tale da includere scelte libere.

Come si vede si tratta di un problema, teorico ed esistenziale, che attraversa come un filo rosso l’esperienza che abbiamo di noi stessi nel rapporto con gli altri, con la natura e la società. Un problema forse irrisolvibile, non solo o non tanto per nostra incapacità, ma perché è irrisolvibile la stessa vita umana: un intreccio di condizionamenti in cui emerge inaspettata la possibilità di cominciare e di “costruire” qualcosa ex novo.

Ne parleremo al Meeting di Rimini oggi, 24 agosto 2025, alle ore 15:00, in Sala Neri, in compagnia del filosofo Mario De Caro (Università Roma Tre) e del neuroscienziato Giorgio Vallortigara (Centre for Mind/Brain Sciences, Università di Trento).

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