Al Meeting si parla dei 19 cattolici martiri negli anni 90 in Algeria e del dialogo interreligioso: l'esperienza di monsignor Vesco, arcivescovo di Algeri
Dialogo, libertà religiosa e pace: tre valori strettamente connessi tra di loro, da costruire in un mondo che, invece, spesso è segnato dall’intransigenza che porta anche a conflitti armati. Un argomento che il Meeting ha messo a tema con un incontro che si svolgerà oggi, al quale parteciperà anche Jean Paul Vesco, arcivescovo di Algeri, che lunedì 25 sarà protagonista anche di un incontro sui 19 martiri cattolici uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996.
Il dialogo tra religioni diverse, in realtà, è il dialogo con persone di altre religioni, per conquistare una fiducia e realizzare un’amicizia in grado di andare oltre le incomprensioni. In questo sono un modello i religiosi e le religiose martiri in Algeria, che hanno testimoniato il valore della condivisione affrontando le difficoltà con i loro amici musulmani, fino a donare la loro vita.
Il Meeting renderà omaggio ai 19 martiri uccisi in attentati terroristici in Algeria negli anni 90. Perché è importante ricordare la loro testimonianza, la loro fedeltà a Gesù Cristo e la loro presenza tra gli algerini?
È importante ricordare i 19 martiri perché attraverso di loro è la testimonianza di una Chiesa intera a essere messa in luce.
La particolarità di questa testimonianza è che non si tratta di cristiani uccisi dai musulmani, ma di cristiani assassinati insieme ai musulmani, solidali nella prova e vittime della stessa violenza. È una testimonianza evangelica: il Vangelo annunciato sotto la forma della fraternità. E il mondo oggi ha un bisogno urgente di questa fraternità.
Nella sua esperienza di arcivescovo di Algeri, cosa significa vivere il dialogo con altre confessioni religiose? Quali sono gli ostacoli da superare nell’incontro con le altre fedi e quali orizzonti può aprire un confronto sincero?
Noi non viviamo il dialogo con altre religioni, ma il dialogo con persone di altre religioni. Non dialoghiamo con l’islam, ma con i musulmani. In un mondo in cui la differenza religiosa viene amplificata e strumentalizzata, una parte importante della testimonianza che possiamo dare è di rimetterla al suo giusto posto, permettendo a persone di religione musulmana di scoprire che è possibile vivere come fratelli e sorelle con persone di religione cristiana.
La differenza religiosa ha altra importanza rispetto a quella che noi stessi le accordiamo. Il principale ostacolo all’incontro è la mancanza di conoscenza reciproca, con la paura e i pregiudizi che tale ignoranza genera.
Le guerre che segnano il mondo in questo momento mettono a confronto anche diverse fedi. In Ucraina le divisioni causate dal conflitto hanno attraversato la Chiesa ortodossa, mentre in Medio Oriente (in Israele, in Palestina, ma anche in Libano e in Siria) si ripropone il tema dei rapporti fra le tre grandi religioni monoteiste e della loro convivenza. Il dialogo interreligioso può servire alla causa della pace?
Nessuno dei conflitti che il mondo oggi conosce, in Ucraina, in Palestina o altrove, trova veramente origine in un motivo religioso. Si tratta sempre di guerre di conquista e di dominio mascherate da motivi religiosi. Bisogna continuamente distinguere tra ciò che dipende dalla storia, dalla politica e dalla fede. Il cardinale Tauran, prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso, era solito ripetere che le religioni non stanno dalla parte dei problemi, ma delle soluzioni.
Oggi come ieri, ai credenti delle tre religioni monoteiste spetta di portare insieme un messaggio di pace e di speranza. Altrimenti, chi lo farà?
Papa Francesco è stato anche il pontefice del dialogo con l’islam, firmando il documento di Abu Dhabi: quale strada ha indicato nel dialogo con l’islam e come la Chiesa può sviluppare questo percorso?
In effetti, il pontificato di papa Francesco è stato segnato dall’insistenza sul dialogo con l’islam, culminato con la Dichiarazione sulla fraternità umana di Abu Dhabi. L’originalità di questo documento è di essere il frutto dell’improbabile amicizia tra papa Francesco e il grande imam di al-Azhar.
Non si tratta di una dichiarazione teologica che vorrebbe ravvicinare le due religioni, ma di due responsabili religiosi che, malgrado la loro diversa fede, portano lo stesso sguardo sul mondo e mettono in guardia sull’urgenza della fraternità. Il prossimo passo sarà capire che non c’è vera fraternità che non osi correre il rischio dell’amicizia. Non c’è fraternità senza prendere gusto all’amicizia reciproca.
Quanto è rispettata oggi la libertà religiosa nei Paesi occidentali come in altri contesti? Oltre alle leggi che in diversi Stati non mettono le religioni sullo stesso piano, quali resistenze culturali impediscono di garantirla?
La libertà religiosa è una questione complessa. È una questione recente, che non si poneva nei secoli scorsi, quando la religione non si sceglieva, ma si riceveva. È una questione che deve tener conto del posto della religione nelle nostre rispettive società e del posto della vita sociale nelle nostre rispettive religioni. La concezione teologica della salvezza all’interno delle nostre religioni gioca poi un ruolo importante: per essere salvati, bisogna essere cristiani o musulmani?
Più profondamente, la questione della libertà religiosa pone la questione della conversione. Per tutte le ragioni appena enunciate, la conversione pone un problema immenso nelle società islamiche, mentre nelle nostre società occidentali la religione è divenuta meno strutturante. Ciò nondimeno, la libertà di coscienza e, quindi, la libertà religiosa sono oggi valori non negoziabili, da difendere a ogni costo.
In Occidente i musulmani vengono guardati anche con una certa diffidenza: da dove nasce e come si può superare? La stessa diffidenza caratterizza i musulmani nei confronti dei cristiani?
La diffidenza è reale ed è reciproca. Nasce da conflitti plurisecolari e da secoli di storia in cui l’abbiamo coltivata perfino attraverso i nostri discorsi teologici. La fiducia non può conquistarsi che nella relazione interpersonale. Per questo l’amicizia è importante. I 19 beati d’Algeria hanno pagato con la loro vita il fatto di non aver voluto tradire questa fiducia partendo nel momento più difficile per tutti.
(Paolo Rossetti)
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