Il film "Material Love" denuncia la crisi del sentimento più profondo che lega un uomo e una donna, ma non rinuncia alla sua promessa di eternità
Se vi è piaciuto il primo lungometraggio Past Lives della regista sudcoreana Celine Song, film raffinato di successo e candidato all’Oscar, capace di mostrarci l’amore come una scelta vera, anche la sua seconda opera Material Love vi colpirà. Torna a questo punto la domanda: perché dobbiamo prendere lezioni sul sentimento più antico del mondo, tanto ricercato quanto tradito, ancora una volta dalla filmografia orientale?
È vero che nella pellicola la vicenda è tutta ambientata a New York, ma lo sguardo sulla mercificazione dell’amore, quello che conduce alla scelta del matrimonio, è impietoso e proviene certamente da una sensibilità, tipica del mondo asiatico, che l’Occidente sembra aver perduto. D’altra parte Celine sa di cosa parla: lei stessa ha lavorato per sei mesi come matchmaker, la combina-coppie insomma, esattamente l’attività in cui è impegnata Lucy, la protagonista di Materialist (il titolo originale del film, che ben definisce il tratto essenziale dei suoi personaggi).
La Song ha avuto modo dunque di studiare bene il “mercato” di appuntamenti dell’alta borghesia newyorkese e ha riflettuto sulle richieste-pretese che chi cerca marito o moglie accampa senza alcuno scrupolo.
Per la regista sudcoreana, infatti, l’amore è un sentimento universale ben più profondo dei calcoli quasi matematici con cui Lucy (un’algida, efficiente, ma in fondo infelice Dakota Johnson) cerca di rispondere alle esigenze dei suoi clienti. Cosa dovrebbe cercare infatti chi si rivolge a lei per trovare l’anima gemella? “Qualcuno con cui arrivare per mano all’ospizio, un compagno di tomba; la scelta del nostro compagno determina tutta la nostra vita. Non per uno, due, dieci anni, ma… per sempre”, dichiara con sicurezza in un momento di lucidità la protagonista, svelando la sua personale visione dell’amore, che però tradisce ogni giorno con i consigli che propina agli abbonati al suo servizio.
I parametri per l’abbinamento perfetto sono infatti materialisticamente elementari: età giovane, ottimo reddito, istruzione adeguata, presenza fisica corredata da un’altezza considerevole per gli uomini e da forme allettanti per le donne, una degna tradizione familiare. Partner vincenti, insomma, che siano in grado però di colmare la solitudine a cui la rampante società capitalista americana condanna anche chi è persona di successo.
Gli aspetti esteriori sono così determinanti che i rampolli delle dinastie più ricche ricorrono a costosissime operazioni alle gambe, per guadagnare quei 10 o 15 centimetri d’altezza necessari per ambire alle donne più affascinanti.
In questo contesto di trattative commerciali a cui è ridotto il rapporto tra uomo e donna, fa capolino però un elemento che sovrasta le misurazioni di mercato che Lucy applica con maniacale precisione, tanto da essere considerata la miglior combina-coppie della città. In fondo, che cosa cerca ciascuno di noi quando si avventura in una relazione d’amore? Di essere riconosciuto nel proprio valore, indipendentemente da quello che ha o da come appare. Insomma, è in gioco la propria dignità, che può essere davvero riconosciuta solo quando si scopre di essere amati e di amare a prescindere dai soldi, dalle sicurezze sociali, dalle prospettive di vita dorata.
È ciò che impara a sue spese e non senza sofferenza proprio Lucy, che farà una scelta totalmente diversa dalla filosofia di vita dell’agenzia matrimoniale per cui lavora e la cui direzione le verrà perfino offerta. Al ricevimento per uno dei tanti matrimoni da lei combinati con successo, si trova infatti davanti a un bivio per la sua vita sentimentale, fino a quel momento semplicemente accantonata.
Da una parte accettare la corte di Harry (un galante e gentilissimo Pedro Pascal), l’ambizioso e affascinante fratello dello sposo, un partner apparentemente perfetto; o riprendere i rapporti con John, l’amore della sua giovinezza (un ingenuo ma devoto e sempre innamorato Chris Evans), riapparso improvvisamente dopo essere stato rifiutato in passato perché povero e con una professione precaria.
Per trovare la sua strada Lucy dovrà sperimentare il bruciore del proprio fallimento, quando Sophie, una giovane donna da lei accompagnata alla sospirata felicità di una relazione, incontrerà invece un uomo violento che la ferirà profondamente.
Dunque i calcoli matematici e le trattative per raggiungere le gioie del matrimonio non bastano? Come scoprire l’amore vero? Sarà proprio l’innamorato John, nella sua vita squinternata di newyorkese emarginato, che convive per necessità con personaggi discutibili e che si ostina a voler fare l’attore serio ma squattrinato, a raccogliere le lacrime della matchmaker in crisi.
Sarà capace di prospettarle non una vita scintillante, né una combinazione perfetta, anche perché loro due sono ben diversi: lei elegante e troppo controllata, lui semplice, all’apparenza un perdente, tuttavia capace di ascolto e dedizione.
Ma il materialismo delle emozioni e la ricerca della presunta compatibilità non pagano nemmeno nella professione che Lucy ha scelto per affermarsi. Perché l’uomo e la donna desiderano altro da sempre. Come mostrano le scene iniziali a prima vista ingenue del film, con due cavernicoli innamorati che si promettono felicità, e che alla fine “spuntano” di nuovo, tra le coppie più diverse che tra fiori e palloncini decidono di sposarsi.
Un inno all’amore eterno dunque, quello della Song, addirittura oltre la morte, che di striscio viene più volte nominata nel film. La domanda bruciante che resta allo spettatore è proprio questa: come si può amare per sempre rispondendo a quell’esigenza profonda che tutti abbiamo nel cuore? Material Love non ce lo dice, ma ci mostra che i nostri calcoli e le nostre riduzioni materialistiche non ci bastano: abbiamo un desiderio insopprimibile di un amore fedele che duri per sempre, anche se sappiamo che è comunque fragile.
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