Nella Resistenza furono coinvolti molti giovani che, dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, combatterono contro il nazifascismo: il mondo dello sport ricorda Michele Moretti, nome di battaglia Pietro Gatti, come “il calciatore che uccise Mussolini” perché partecipò all’arresto e all’esecuzione dell’ormai ex Duce a Dongo. Per alcuni anzi Michele Moretti fu l’esecutore materiale dell’uccisione di Benito Mussolini: una storia che il Corriere della Sera rievoca oggi con un lungo articolo.
La storia in sé non è affatto nuova: la figura di Michele Moretti infatti è ben nota, in quanto egli era il commissario politico della 52ª Brigata Garibaldi “Luigi Clerici” operante sul monte Berlinghera, tra le province di Como e Sondrio sull’Altolago di Como, sponda occidentale. Nato a Como il 26 marzo 1908, Michele Moretti fu un buon calciatore: terzino soprattutto della Comense, come era chiamato il Como in quegli anni, militando per diverse stagioni in Serie B.
Cresciuto in una famiglia socialista (il padre ferroviere fu licenziato in quanto tale), la politica però ebbe presto il sopravvento sul calcio: Michele Moretti entrò nel Partito comunista clandestino già nella seconda metà degli anni Trenta, fra il 1943 e il 1944 organizzò diversi scioperi a Como e dintorni, tanto da essere arrestato dalla polizia fascista.
MICHELE MORETTI, IL CALCIATORE PARTIGIANO
Destinato ad essere deportato in Germania, egli riuscì a fuggire dal centro di raccolta di Sesto San Giovanni il 13 aprile 1944 ed entrò in clandestinità, diventando uno dei fondatori della già citata 52ª Brigata Garibaldi (che erano quelle formate da comunisti) intitolata a Luigi Clerici sulle montagne dell’Altolago di Como, con il nome di battaglia di Pietro Gatti.
Commissario politico prima del distaccamento “Puecher” e poi dell’intera brigata, Moretti però è passato alla storia soprattutto per il ruolo avuto nella cattura e uccisione di Benito Mussolini: il 27 aprile 1945 partecipa alle delicate trattative con i comandanti di una colonna motorizzata tedesca in ritirata. La guerra era ormai finita, ma la forza del nucleo dei partigiani del posto di blocco di Musso era decisamente inferiore a quella dei tedeschi. Si giunse dunque a un accordo: i tedeschi avrebbero potuto proseguire a patto di consegnare i fascisti al loro seguito al successivo posto di blocco di Dongo.
Tra i catturati, il partigiano Urbano Lazzaro riconobbe Benito Mussolini; con lui Claretta Petacci e sei ministri della Repubblica Sociale Italiana. Intorno alle ore 3.00 di notte del 28 aprile, Moretti fa parte del gruppetto di partigiani che condusse Mussolini e Claretta Petacci a Bonzanigo, una frazione di Mezzegra, per tenere il Duce e la sua amante prigionieri in un luogo segreto.
FU MICHELE MORETTI AD UCCIDERE MUSSOLINI?
Una versione non ufficiale dei fatti, quella del partigiano Guglielmo Cantoni, nome di battaglia “Sandrino”, vuole che sia stato proprio Moretti a uccidere materialmente Mussolini. Dal canto suo, Michele Moretti ha sempre sostenuto la versione ufficiale confermando il comandante Walter Audisio quale esecutore della condanna, sebbene ci siano elementi che farebbero pensare invece alla veridicità della descrizione di Sandrino.
Moretti d’altronde nell’immediato dopoguerra ebbe altri problemi: in seguito ad un mandato di cattura nei suoi confronti per la vicenda legata all’oro di Dongo (i beni sequestrati a Mussolini e al suo seguito), espatriò in Jugoslavia nel novembre 1945, a Lubiana, ove rimase fino al giugno 1946. Al rientro in patria, rimase nascosto fino alla revoca del mandato di cattura nel maggio 1947, in seguito all’assoluzione in fase istruttoria delle accuse a suo carico.
Nel 1954 fu licenziato dall’azienda dove lavorava perché si mise alla guida delle lotte operaie nello stabilimento e divenne artigiano. Negli ultimi anni della sua vita (morì il 5 marzo 1995) lasciò intendere una sua diretta responsabilità nell’esecuzione dell’ex Duce e della sua amante. Ecco perché si può parlare di Michele Moretti come del “calciatore che uccise Mussolini”.