Dopo 17 anni è stato assolto Michele Padovano, ex attaccante di Juventus, Genoa, Napoli e della Nazionale italiana, che era stato coinvolto in un’inchiesta della Procura di Torino su un giro di spaccio di hashish. Fu arrestato il 10 maggio 2006, dopo una pizza con gli amici. A raccontare quei momenti è stato proprio il diretto interessato su “La Repubblica”: “Mi bloccarono due volanti, gli agenti armati, pistole in pugno. Tutti in borghese. Nessuno parlava, nessuno mi spiegava. La spada mi è entrata in testa in quel momento e c’è rimasta una vita. Mi portarono subito in caserma a Venaria: le foto segnaletiche, le impronte digitali. Poi mi diedero i trecento fogli dell’ordinanza: ‘Tieni, studia e capirai’. Ma io non capivo proprio niente. Questi sono pazzi, pensavo”.
L’umiliazione peggiore, per Michele Padovano, è stata rappresentata dalle manette strette attorno ai polsi, che non generano una sensazione piacevole: “Provi dolore, senti freddo e vergogna – ha detto –. Nella notte mi trasferirono a Cuneo sul blindato, si sta seduti dentro una specie di gabbia. Mi scappava la pipì, non volevano farmela fare. Alla fine ci fermammo in un autogrill semivuoto, c’era solo una famiglia. Mi guardarono strano. La mia forza è nata lì. Dimostrerò di essere innocente, mi ripetevo, servisse anche tutta la vita. Mangiavo solo mele”.
MICHELE PADOVANO: “SEMPRE STATO INNOCENTE, GIANLUCA VIALLI INDIMENTICABILE”
Michele Padovano è stato costretto a difendersi per aver prestato qualche migliaia di euro a un amico d’infanzia che doveva acquistare dei cavalli (affare documentato). Come ricorda “Libero”, il pm in primo grado chiese per lui 24 anni di carcere, poi l’Appello sei anni e otto mesi. La Cassazione annullò con rinvio la decisione, con gli avvocati dell’ex bianconero, Giacomo Francini e Michele Galasso, che sono riusciti a ottenere l’assoluzione del loro assistito: “Quando hanno letto la sentenza sono scoppiato a piangere – ha evidenziato Padovano –. Siamo, scoppiati a piangere per un paio d’ore. Sia io che mia moglie Adriana che mio figlio Denis. È stato un atto liberatorio per la tensione accumulata. Abbiamo passato momenti molto duri. Non nascondo che ci sono stati anche attimi di scoramento”.
Michele Padovano si è sempre fatto forte della consapevolezza della sua innocenza e, nonostante i tre mesi dietro le sbarre a Cuneo e Bergamo, i domiciliari e i processi affrontati, non ha mai alzato bandiera bianca, reinventandosi anche lavorativamente, quando il mondo del calcio gli ha voltato le spalle: “Ho aperto un bar, ho investito in un cantiere navale, in un parco giochi. Ho avuto scarsi successi? Forse, però almeno non sono stato a casa con le mani in mano. Adesso ,i piacerebbe che qualcuno mi desse l’opportunità di rientrare nel mondo del calcio dalla porta principale, visto che mi è stata tolta in maniera così violenta”. Soltanto due ex compagni gli sono stati accanto: Gianluca Presicci e Gianluca Vialli. Quest’ultimo “quando ero in carcere telefonava a mia moglie per sapere come stavo. Questo io non l’ho mai dimenticato, siamo sempre stati in ottimi rapporti. C’erano molte affinità caratteriali, la sua mancanza oggi pesa molto”.