Milano, rapinato e preso a martellate per soli 30 euro da una baby gang: “Mi dicevano che così si guadagnano da vivere”

Una serata di spensieratezza e, apparentemente, normale si è trasformata in un vero e proprio incubo per Federico, preso a martellate in testa con una violenza folle e ingiustificata, per derubarlo di soli 30 euro. Ma nulla poteva far presagire un epilogo del genere per quella che sarebbe dovuta essere una semplice uscita tra amici.



Piazzale Loreto, venerdì sera, l’aria tipica della movida milanese, tra risate, locali affollati e giovani che tornano a casa dopo una serata tra amici, quando Federico, 22 anni, di San Giuliano Milanese, ha appena finito di giocare in una escape room con un’amica e sta tornando verso la sua auto, ignaro che di lì a poco la sua serata si trasformerà in un dramma.



Tre ragazzi, di origine straniera, li avvicinano. Uno di loro punta una banana contro Federico, fingendo sia una pistola: “Fermi, polizia”. Un attimo di smarrimento, poi la presa per il collo, le spinte violente; quando Federico cerca di ragionare – “Prendetevi tutto, ma non fatemi male” – la risposta è un martello brandito all’improvviso che lo colpisce ripetutamente alla testa.

La scena è agghiacciante nella sua inutile e becera crudeltà. Federico, che non oppone resistenza e consegna subito il portafoglio con i suoi 30 euro, viene ugualmente pestato a sangue: calci, pugni, colpi di martello. Poi, il colmo del cinismo: “Visto che sei stato così bravo, ti do un’altra martellata in testa”.



Per trenta euro e un cellulare rubato si è scatenata una ferocia inaudita che avrebbe potuto uccidere. “Io rischio di morire e loro in tre si prendono 30 euro”, dirà poi Federico al Policlinico, dove verrà dimesso con 5 giorni di prognosi e i segni delle botte ancora vividi su volto e collo.

Milano, una rapina finita a martellate: quando la violenza supera ogni logica

Quella di Federico non è solo l’ennesima storia di una rapina finita male, ma l’emblema di una violenza diventata dilagante e fine a sé stessa. I tre aggressori – probabilmente facenti parte di una baby gang – non hanno agito per necessità estrema, ma per un mix tossico di crudeltà gratuita e disprezzo per la vita altrui: “Ti do tutto, l’importante è che non mi picchi”, aveva implorato il ragazzo.

Ma invece no: la violenza è stata inflitta ugualmente, con un sadismo che ricorda certe scene dei film più cupi di Kubrick o Tarantino, ma che, nella realtà di Milano 2025, assume toni ancora più agghiaccianti.

La madre, sconvolta da questa aggressione feroce che avrebbe potuto avere ripercussioni fatali, non nasconde la sua rabbia e la frustrazione per un contesto sempre più selvaggio e incontrollato: “Ho paura che ogni volta che mio figlio esce di casa. Gli ho dato anche uno spray al peperoncino. Non so più cosa fare per fare in modo che possa difendersi”. Parole desolanti, che rimarcano i contorni di un quadro sempre più fuori controllo.

C’è qualcosa di drammaticamente tossico e malato in un’epoca in cui si colpisce con un martello un ragazzo inerme per trenta euro, mentre si scherza sul fatto di “guadagnarsi da vivere così”: è la stessa logica perversa che animava i teppisti della Clockwork Orange, ma senza la scusante della finzione narrativa.

E mentre Milano si interroga su come fermare questa deriva, le domande si moltiplicano, insieme a una crescente indignazione: dove finisce l’emergenza sicurezza e inizia il fallimento educativo? Quanto pesa l’assenza di prospettive per questi giovani violenti? E poi, soprattutto: come può una società considerarsi civile quando permette che accadano cose del genere in pieno centro, sotto gli occhi di tutti?

Il vero interrogativo che emerge con sempre più prepotenza in seguito ad episodi come questi – ormai all’ordine del giorno – è chi si debba realmente occupare di questi giovani violenti, spesso di seconda generazione, non integrati e sempre più lasciati liberi di commettere crimini e reati, spesso rimanendo impuniti. Federico oggi è a casa, ma i segni – fisici e psicologici – di quella notte rimarranno a lungo, come l’ennesimo segnale di pericolo per una realtà sempre più alla deriva.