Hanno realizzato la Madonnina che è stata installata in cima al nuovo palazzo della Regione Lombardia e costruito per la Presidenza della Repubblica una copia gigante della Costituzione in occasione del suo 60esimo anniversario. Ma, nello stesso tempo, hanno anche preparato i costumi indossati dalle Iene e ideato un tubetto di salsa di pomodoro alto quattro metri per la sede del gruppo Mutti. Sono alcune delle opere più originali firmate dallo Studio Cromo, fondato da due ex studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Gabriele Cantoni e Lorenzo Meregalli. Come sottolinea Cantoni, 30 anni, «è stata soprattutto la crisi economica ad avere dato un impulso inaspettato alla nostra impresa. Quando mancano le risorse, ciò che può fare la differenza non è il budget ma l’educazione al bello. E’ quello che avevamo imparato a Brera e che ci ha permesso di realizzare prodotti efficaci, anche sul piano comunicativo, senza spendere cifre da capogiro».
Cantoni, da dove è partita la vostra avventura al confine tra l’arte e l’industria?
Dopo la laurea, ho trascorso un periodo lavorando per alcune imprese che realizzavano prodotti di design a poco prezzo utilizzati per esempio nel cinema. Mi sono accorto che il lavoro in questo campo non mancava, tanto che restavamo in azienda fino a 18 ore al giorno, con compensi piuttosto bassi. E’ stato a quel punto che, grazie a Lorenzo, abbiamo deciso di aprire una nostra impresa. Siamo partiti da uno scantinato sotto l’abitazione del mio socio e pian piano ci siamo ingranditi, fino a fare il grande salto e trasferirci in un capannone a Biassono.
Di che cosa si occupa la sua azienda?
Scenografie, allestimenti e sculture. Nella fase iniziale ci siamo rivolti al mondo delle imprese, nel momento in cui dovevano allestire delle fiere o abbellire i loro prodotti e ambienti di lavoro per essere più visibili. Di recente abbiamo iniziato a lavorare anche per il teatro. La crisi economica paradossalmente ci ha aiutati, perché realtà che prima nemmeno ci consideravano oggi ci reputano dei validi partner. Siamo infatti una società giovane, piccola, non abbiamo costi enormi, avendo fatto l’Accademia tutti i nostri collaboratori li prendiamo non tra gli artigiani affermati, ma tra gli studenti di Brera. Questo ci consente di tenere un livello qualitativo molto alto, con prezzi concorrenziali. Al contrario degli studi di scenografia più prestigiosi, nati negli anni ’80-’90 quando tv e teatri avevano i budget illimitati. Infine lavoriamo anche in un terzo ambito, quello artistico, per esempio in fonderie o gallerie, dove gli artisti ci chiedono di sviluppare le loro idee. Senza contare i lavori che facciamo per le società che ci chiedono abbellimenti che non siano quelli classici.
Fino a che punto è possibile fare quadrare i bilanci grazie all’arte?
E’ meno difficile di quel che sembri, perché spesso si pensa al creativo come a una persona stravagante che ha pochi contatti con la realtà. In realtà il nostro mestiere è proprio l’esatto contrario, consiste cioè nell’essere molto attaccati alla realtà utilizzandola per ricavarne il maggior numero possibile di spunti, in termini di idea, innovazione e immagine.
Per esempio in che modo?
Quando ci ha contattato la Mutti, un’azienda che produce salsa da pomodoro, per chiederci di realizzare un totem da mettere in giardino, noi prima di mostrare loro delle proposte siamo andati a trovarli, abbiamo chiesto loro di spiegarci chi erano e cosa facevano. E da lì siamo partiti a progettare un espositore che non fosse il classico totem che si usa normalmente. Altri studi invece si erano limitati a «pescare» dal loro catalogo per fare delle proposte che non erano tagliate su misura dal cliente.
Facile intuire com’è andata a finire…
La Mutti ha scelto il nostro progetto. E’ questo il nostro metodo, nei confronti di tutte le aziende. Cercando di capire con loro quali sono i loro punti di forza e l’immagine che vogliono dare di sé, partendo poi da quello per realizzare il progetto.
Fino a che punto la creatività dell’artista e quella dell’imprenditore sono compatibili?
Contrariamente a quello che si crede, è abbastanza comune che un artista di talento sia anche un valido imprenditore. Nella modernità è ancora più evidente, basta pensare a Warhol, Cattelan o Pomodoro, ciascuno dei quali ha creato una sua impresa. Ma anche lo stesso Michelangelo aveva una squadra di 50 persone, molte delle quali giovani apprendisti, che lavoravano con lui. L’immagine dell’artista solitario che non esce mai dal suo studiolo è più un’idea romantica e bohémienne, che non corrisponde alla realtà.
Ma per aprire un’impresa ha dovuto in qualche modo reinventarsi?
Sì, ma è stato abbastanza naturale. Lavorando insieme a Lorenzo, ci siamo accorti che l’esperienza e l’educazione al bello che avevamo ricevuto all’Accademia di Brera era una cosa che poteva essere sfruttata anche nel mondo dell’industria e della comunicazione. Quando si tratta di organizzare un evento, come per esempio una fiera, la cosa più importante non è l’entità del budget. Ciò che viene prima infatti è che è possibile realizzare dei prodotti di qualità perché si è stati educati al bello, e questa sensibilità può essere adattata in funzione delle esigenze di un teatro, di un programma televisivo, ma anche di un’azienda o di una fiera.
(Pietro Vernizzi)