“I centisti sembrano piuttosto favorevoli ad una mia candidatura. Nel Pdl invece suscita maggiori perplessità. Per questioni di rapporti di forza e leadership interna. Verosimilmente, comunque vada, per mettere insieme quest’area dovrei dar vita ad una lista civica”. Parla Gabriele Albertini, europarlamentare pidiellino, già sindaco di Milano.
Albertini, che giudizio dà dell’attuale quadro politico in Lombardia?
Tanto per cominciare, vorrei far presente che il governatore della Puglia, Nichi Vendola, ha all’attivo un periodo di governo pari a un terzo di quello di Formigoni. Ma ha già avuto diversi arresti in giunta, egli stesso è indagato, ed è stato obbligato a dar via al cosiddetto reset; tuttavia è stato santificato al punto da essere il candidato in lizza per la leadership del centrosinistra. Sottolineata questa singolare diversità di trattamento, quello che sta accadendo in Lombardia è semplice: dopo quasi un ventennio di governo della mia parte politica, siamo giunti a un punto di sintesi, in cui tutti i nodi stanno venendo al pettine. Sia nel bene che nel male.
Partiamo dal bene.
L’eccellenza del governo lombardo non è in discussione. Il nostro bilancio è assimilabile a quello della Germania, quello della Puglia a quello della Grecia. Tanto per citare qualche cifra: l’amministrazione lombarda costa a ciascun abitante 21 euro contro i 109 della media nazionale. I bilanci della sanità lombarda sono in attivo dal 2001, da quando lo devono essere per legge. E, pur essendo in attivo, la Regione è creditrice di circa 769 milioni di euro nei confronti delle altre Regioni, i cittadini delle quali scelgono la Lombardia per l’eccellenza delle sue prestazioni sanitarie.
E’ pur vero che il ticket lombardo è tra i più alti d’Italia.
Lo è anche il fatto che cinque milioni di lombardi – cioè metà della popolazione regionale – che dispongono di meno di 36mila di euro di reddito e hanno meno di 15 anni o più di 65, sono esenti.
Veniamo al male…
Bisogna ammettere che nel Consiglio regionale lombardo, anche per una particolare attenzione della Procura di Milano nei confronti del centrodestra, e per un certa disattenzione – vedi il caso Penati-Serravalle – nei confronti del centrosinistra, la percentuale di sottoposti a inchieste o misure di custodia cautelare è decisamente superiore alla media. Ci sono, tra Consiglio e Giunta, 14 persone indagate o in carcere. Poco meno di un quarto del totale.
Quindi?
Manca nel nostro sistema politico una cosa che l’opinione pubblica esasperata desidera e pretende: la consuetudine e ritenere l’onestà un valore politico. Eppure, gli strumenti per essere accorti sia nella fase di preselezione dei candidati che durante il mandato, ci sono. L’autosospensione, per esempio – che non è un suicidio politico – dovrebbe rappresentare un atto dovuto quando si è rinviati a giudizio. Se questi principi fossero stati assunti dal Pdl al momento della fusione tra Forza Italia e An, si sarebbe dato un segnale decisivo.
Perché il suo partito è così restio a considerare l’onestà un valore?
Ovviamente, l’onestà, da sola, non basta. Harry Truman, un omettino con gli occhiali, dimesso e pelato che, nonostante l’aspetto da cassiere di banca, sganciò pur sempre due bombe atomiche, soleva dire: “mia zia Betshy é la persona più onesta che conosca, ma non può fare il Presidente degli Stati Uniti!”. Capacità ed onestà sono le caratteristiche del leader in uno Stato di diritto, in una Democrazia. In ogni caso l’onestà rappresenta una precondizione per fare politica che, nel nostro partito più che in altri, è sempre stata considerata subalterna – quando non, addirittura, di ostacolo – ad un’altra caratteristica necessaria in politica: l’abilità.
Francesco Forte ha affermato, su queste pagine, che con l’attacco a Comunione e liberazione «si vuol lasciar intendere che le cliniche private gestite da un certo mondo cattolico avrebbero goduto di privilegi e benefici a scapito» delle altre. In sostanza, qualcuno vorrebbe la torta tutta per sé.
Beh, diciamo che il potere non logora solo chi non ce l’ha, ma anche chi ce l’ha. Quando la medesima parte politica protrae un governo così a lungo, non è escluso che, per una mera questione fisiologica, si produca la tendenza ad attenuare la concorrenza altrui. Sia ben chiaro: non ho elementi certi per dimostrarlo. Il mio ragionamento vale in astratto. E’ altrettanto verosimile, quindi, che tutto ciò possa aver alimentato una lotta di potere per spartirsi 17 miliardi di euro.
In molti danno la sua candidatura altamente probabile. A quali condizioni lo sarà effettivamente?
Per il momento, mi limito a segnalare la fotografia scattata il 17 settembre, durante il convegno “L’Onestà in politica”. Erano intervenuti Casini (Udc), Fini (Fli), Nicola Rossi (Italia Futura), e il sottoscritto. Intervenne anche il segretario del Pdl, Angelino Alfano. Ma arrivò in ritardo, per ultimo, e per ultimo diede la propria disponibilità a partecipare. Si tratta di segni abbastanza evocativi.
In altri termini?
La componente centrista sembra piuttosto favorevole ad una mia candidatura. Il Pdl, invece – di cui ho la tessera n. 216! – è quello a cui, attualmente, essa suscita maggiori perplessità. Per questioni di rapporti di forza e leadership interna. E’ pur vero che, in ogni caso, i centristi avrebbero qualche inconveniente ad aderire ad una candidatura targata Pdl. Verosimilmente, comunque vada, per mettere insieme quest’area – un rassemblement dei moderati che, oltre ai valori liberali, dell’efficienza e del pragmatismo, assuma quello del rigore morale – dovrei dar vita ad una lista civica.
Che alternativa ha il Pdl?
Si sta interrogando sulla possibilità di rifare un’alleanza con la Lega. Il che creerebbe parecchie difficoltà a integrare un’alleanza con gli altri partiti.
Non è escluso, pare, che il Pdl sia disposto a concedere la Lombardia alla Lega in cambio del suo appoggio alle politiche.
Già, in cambio del 6%, gli darebbero l’appannaggio del nord. Ma, a parte questo, già di per sé assurdo, lo è ancor di più il fatto che il Pdl, il partito che si rifà alla tradizione di De Gasperi, Adenauer e Schuman possa legarsi a chi, mentre stabilisce chi debba governare la Lombardia, sottoscrive una proposta di referendum per uscire dall’Europa. Se in Regione l’alleanza è comprensibile, a livello nazionale lo è molto meno. Tanto più in un momento come questo in cui dall’Europa dipende la nostra sopravvivenza economica, il nostro sviluppo e la nostra integrazione con il mondo occidentale.
(Paolo Nessi)