Il ministro degli interni, Matteo Piantedosi, è stato ospite ieri sera del programma di Rete Quattro, Dritto e Rovescio, e per l’occasione è tornato a parlare del caso di Ramy, il 19enne egiziano morto a Milano a novembre dopo un incidente in scooter a seguito di un inseguimento dei carabinieri. Il ministro Piantedosi ha spiegato che la vicenda verrà giudicata dall’autorità giudiziaria, che dovrà quindi stabilire se c’è stata qualche irregolarità. Nel frattempo i carabinieri stanno collaborando, hanno consegnato tutti i video in loro possesso, di conseguenza bisognerà attendere che la giustizia faccia eventualmente il suo corso.
Piantedosi ricorda comunque come non bisogna dimenticare che “non ci si è fermati all’alt”, di conseguenza se i due ragazzi a bordo dello scooter, il 22enne Fares e l’amico Ramy, si fossero fermati, tutto quanto accaduto dopo non sarebbe successo. Il ministro dell’interno ha sottolineato di far fatica a concepire un inseguimento, un’azione che è ovviamente consentita alle forze dell’ordine, “senza che si possa svolgere un inseguimento”, rispondendo anche al sindaco di Milano, Beppe Sala, secondo cui nel caso di Ramy i militari hanno sbagliato.
MINISTRO PIANTEDOSI E LE MANIFESTAZIONI VIOLENTE
Piantedosi ha continuano spiegando che uno dei principi su cui si basa il suo lavoro è “la preoccupazione”, ricordando appunto il caso del 19enne egiziano ma anche delle varie manifestazioni in piazza dei mesi precedenti l’accaduto, “con manifestanti molto aggressivi nei confronti delle forze di polizia”, quello che il titolare del Viminale rappresenta “un elemento di preoccupazione”.
Nel corso dell’anno scorso sono stati quasi trecento gli agenti che sono rimasti feriti durante le proteste di piazza, numeri che lo stesso ministro definisce “di un certo significato”, e che per certi versi “contraddice” alcune delle cose che sono state dette in passato, a cominciare dal dire che il governo Meloni sarebbe portato a “comprimere la libertà di manifestazione del pensiero”, e segnalando che nel corso del 2024 il numero di manifestazioni è aumentato su base annua del 10 per cento. Di fatto, sottolinea Piantedosi, si è registrato “un aumento in percentuale” dei casi in cui le forze dell’ordine sono state un “obiettivo prioritario” di coloro che sono scesi in piazza.
IL CASO DI BRESCIA
E a proposito di agenti, sta facendo parlare il caso dei presunti abusi in questura a Brescia, nei confronti di alcune manifestanti ambientaliste, che segnalano di essere state fatte spogliare, ma il ministro parla di perquisizioni “in piena regolarità”, aggiungendo che si dice comunque dispiaciuto se qualcuno si è sentito offeso.
Ha poi spiegato di aver parlato con il capo della polizia, concordando che queste pratiche siano adeguate e proporzionali agli scenari in cui si presentano. In ogni caso l’esponente del governo Meloni ha vigilato sull’accaduta, gli è stata presentata una relazione, ricordando come tale pratica sia consentita in determinate circostanze. “Tra l’altro la perquisizione è fatta da personale femminile sulle donne”. Tutto si è svolto “in piena regolarità” aggiunge.
LO SCUDO PENALE AGLI AGENTI
L’ultimo argomento trattato è stato lo scudo penale, e la possibilità che lo stesso venga applicato agli agenti, e a riguardo il ministro Pianteodosi ci ha tenuto a sottolineare che non si tratta di una “impunità”, ma semplicemente di un intervento che garantisca una maggiore tutela legale agli stessi agenti. “L’idea dell’impunità – precisa a Dritto e Rovescio – è stata respinta all’unanimità anche dai sindacati”.
Il ministro ha spiegato che in passato ci sono state delle normative che hanno previsto delle garanzie alle forze dell’ordine durante i processi, senza che questi siano necessariamente indagati, ma che servivano per evitare delle condizioni giudicate “delicate e spiacevoli”. Infine ha segnalato il fondo da 10mila euro a disposizione sempre delle forze di polizia per eventuali processi, tenendo conto del loro stipendio tutt’altro che faraonico.