I fatti sono noti perché campeggiano da circa due mesi praticamente su tutti i media. A Milano, nella notte del 24 novembre scorso, Fares Bouzidi alla guida e Ramy Elgaml passeggero, su uno scooter di grossa cilindrata, scappano all’alt dei carabinieri. Ne consegue un rocambolesco inseguimento, per otto interminabili e terribili chilometri, nella periferia milanese. Una manovra condotta da tre pattuglie che si conclude con un tragico incidente in cui Fares rimane ferito e Ramy, fatalmente, crudelmente, muore. Il sindaco Beppe Sala si affretta a ricevere parenti e amici dei ragazzi assicurando l’inclusività della città; ma forse intendeva l’impunità su basi etniche. Infatti subito emergono dei dati di fatto. Fares non ha la patente. Sullo scooter dei ragazzi viene rinvenuta una catenina spezzata – a chi è stata strappata? –, un coltello – a che serviva? –, una somma vicina ai mille euro in contanti – da dove venivano? –, uno spray al peperoncino – chi bisognava immobilizzare? –. Emergono anche delle domande: perché sono scappati? A chi era intestato lo scooter? Era assicurato?
Un altro dato emerge dopo qualche giorno. Una perizia della polizia municipale accerta che danni ai veicoli e segni sull’asfalto sono la prova che un contatto vi è stato tra un’autopattuglia e lo scooter; ma prima della caduta, tanto da non costituire causa o concausa dell’incidente mortale. Fares, da solo, ha perso il controllo dello scooter con quello che ne è succeduto. A distanza, ancora, viene divulgato dai media, ma nessuna sorpresa in quanto era già agli atti fin dall’inizio perché consegnato da uno dei carabinieri, un video dell’inseguimento che non mostra l’epilogo della fuga, quindi non prova nulla, ma nel quale qualcuno degli operanti formula auspici, decontestualizzati, sulla caduta degli inseguiti. Il video non cambia assolutamente il quadro probatorio dei fatti, né porta alla scoperta di ulteriori fattispecie criminose. Il video mostra anche due Carabinieri che si avvicinano ad un passante, il quale, dopo qualche giorno, affermerà che i militari lo hanno intimidito imponendogli la cancellazione di un video dell’incidente.
Da questi fatti si è creata una spirale di violenza durata fino a ieri. Violenze impensabili contro la polizia né giustificabili in alcun modo. Va detto che anche in casi spinosi la magistratura ha sempre tenuto un comportamento ferreo nel reprimere i reati degli agenti, perseguendoli con costanza anche per anni. Non è certo l’impunità degli agenti la leva della violenza di strada. E, sia detto tra parentesi, scorrendo i commenti sotto il video che ho trovato su Youtube non ho trovato commenti contro i carabinieri.
Ma andiamo avanti. E stato corretto inseguire la moto? Certamente la legge parla chiaro: “La polizia giudiziaria” (le pattuglie operanti) deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”.
Cioè significa che una volta che Fares è scappato andava in seguito per accertare quello che stava facendo, impedire eventuali reati e assicurare le fonti di prova. E come si poteva fermare? Non certo aspettando che finisse la benzina. Se lo avessero lasciato andare avrebbe potuto investire qualcuno. Chi sarebbe stato allora responsabile dell’omissione degli atti di polizia?
Augurare la caduta è solo un modo per esorcizzare un pericolo peggiore, non certo l’indicatore di una volontà assassina. Bastava prendere la targa come qualcuno ha prospettato? Forse all’indomani avremmo trovato la moto. Magari bruciata. Ma cosa trasportava, chi c’era a bordo? Ripeto: perché era fuggito?
Si è parlato, in grande malafede, anche di profilazione razziale. Ma se due individui con casco calzato, completamente vestiti, scappano in piena notte, chi può sapere di che colore, sesso e religione sono? Parlare di profilazione serve, molto in malafede, ad agitare l’odio di piazza che poi è sfociato nei successivi assalti contro gli agenti.
Solo ora in Italia questi problemi si stanno palesando. Oltre Atlantico da anni assistiamo alla sottomissione del diritto ai dettami della cultura woke. Abbiamo visto tagli milionari ai bilanci della polizia e zone police free. Abbiamo assistito anche alla depenalizzazione dei delitti minori. Risultato, in California, capofila del movimento, i reati contro la persona e il patrimonio sono in aumento esponenziale, e si registra un grande aumento anche degli omicidi. Bande organizzate entrano nei negozi sbeffeggiando i dipendenti, li svuotano e poco dopo mettono in vendita la merce sul web. Speriamo di imparare da queste esperienze prima che comportamenti simili sbarchino sulle nostre coste.
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