Mogol “Lucio Battisti ed io chiamati fascisti”/ “Il nostro era inno alla libertà”

- Marta Duò

Mogol ricorda la musica del passato e analizza le minacce al cantautorato del presente rappresentate soprattutto dal social: "sono un danno per la musica"

Mogol Rai 1 Mogol Rai 1

Giulio Rapetti, più conosciuto come Mogol, parla della musica di ieri e di oggi, tra nomi indimenticabili e canzoni destinate a essere presto dimenticate. “Io figlio di un antifascista mi sentivo dare del fascista insieme a Lucio (Battisti, ndr) semplicemente perché non facevamo canzoni politiche, perché non avevamo scritto ‘Contessa’  – ricorda Mogol al quotidiano La Verità – Mi angosciai e mi stupii perché facemmo un concerto al Covent Garden a Londra e ci accolsero nel silenzio più rispettoso dove la musica e le parole creavano emozioni e armonia. Mentre in Italia per aver scritto “Volando sopra un bosco di braccia tese” siamo stati accusati di fascismo. Se uno vede la copertina del disco si accorge che ci sono due braccia protese verso il cielo. Era un inno di libertà. Allora abbiamo scelto di non cantare più in pubblico. Per me è stato un dolore perché credo che la democrazia sia l’unica forma possibile di governo”.

A oggi, Mogol ritiene che “non ci sono canzoni memorabili, che la gente ricorda come succede con le canzoni di Lucio” e che “quando la musica e il testo sono un’espressione poetica c’è un evoluzione culturale nella gente. Per saper discernere tra le canzoni che hanno molte visualizzazioni sui social e le canzoni che si radicano nella memoria delle persone serve competenza. La parola è centrale nella cultura popolare che ha mille espressioni”.

Mogol, “i social minacciano il diritto d’autore: sono un danno perché…”

Mogol, all’anagrafe Giulio Rapetti, nella sua intervista a La Verità vuole anche commentare il modo in cui i social possono mettere in pericolo la musica e il cantautorato, anziché contribuire alla diffusione di nuovi brani. “La tutela del diritto d’autore è fondamentale e la minaccia è continua” spiega, perché “il pericolo viene dalle piattaforme digitali che sono quelle che usano la musica e la gettano. Perciò serve una tutela forte. Prima della Siae nacque la società degli autori francesi e andò così; tre autori pranzarono in un gran ristorante di Parigi e al momento del conto non pagarono dicendo: voi sfruttate la nostra musica e noi sfruttiamo la vostra cucina. Con i social bisogna fare la stessa cosa. Sono un danno per la musica perché non riconoscono i dritti degli artisti”.

E a conclusione del suo dialogo, Mogol vuole concludere con un messaggio per il futuro: “dobbiamo avere due convinzioni: accettare qualsiasi cosa il destino ci riservi perché questo vale più di una preghiera; essere consapevoli che al momento di andarcene l’unica cosa che portiamo via e per la quale saremo giudicati è come abbiamo agito nella vita. Se siamo intelligenti dobbiamo dimostrare di aver vissuto degnamente. Tutto il resto è polvere”.





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