"Montagne di carta. Immagini e parole": un felicissimo connubio tra gli scatti di Gianni Maffi e i versi di Antonia Pozzi. Fino al 27 settembre
Chi ama la montagna o anche chi solo ha una particolare sensibilità verso i temi ambientalistici non può perdere la grande occasione di viverle attraverso le fotografie di Gianni Maffi (1957) e le poesie di Antonia Pozzi (1912-1938) esposte alla mostra Montagne di carta. Immagini e parole presso la biblioteca Sormani di Milano.
Due milanesi distanti nel tempo ma vicini quanto a sensibilità e ad amore per questo immenso bene che è la montagna: non solo ambiente fondamentale per l’intero eco-sistema ma anche luogo di bellezza, di memoria e di riflessione, un luogo dell’anima.
Parallelamente alla sua attività di fotografo nel mondo della pubblicità e dell’editoria, Gianni Maffi intraprende un personale percorso di ricerca sul paesaggio. Fotografo affermato, è un amante della montagna che affronta con il punto di vista dell’esploratore, di un osservatore silenzioso, il quale, rapito da quanto gli si pone innanzi, è capace di restituirci molto più di una pura e semplice immagine naturalistica.
Forti e incisivi, ma al contempo delicati, i suoi scatti restituiscono all’osservatore la potenza della montagna, le sue luci e i suoi silenzi, finanche i suoi colori. Colori esaltati dalle foto in bianco e nero di Maffi, da quel bianco e nero che ha fatto la storia della fotografia di montagna, nata già a cavallo tra fine Ottocento e primi del Novecento, con i fotografi alpinisti a testimoniare le spedizioni, la morfologia delle montagne e la loro cosiddetta “conquista”.
Guardando le foto di Maffi, immediato è il richiamo ad Ansel Adams (1902-1984), uno dei più grandi fotografi di paesaggio di sempre, e alla tradizione di quella “fotografia pura” degli anni 30 e 40 del secolo scorso. Tale corrente, contrapponendosi all’approccio pittorialista che voleva una fotografia più vicina alla pittura, perseguiva la realtà, e non la finzione, puntando alla massima chiarezza e nitidezza versus gli artifici tecnici.
Sempre rispetto ad Adams, identico pare anche lo spirito che lo guida nel modo di vivere i luoghi che percorre: la scelta delle inquadrature, l’esaltazione dei particolari, verrebbe da dire, anche il rispetto reverenziale di fronte alla maestosità della Natura.

Nella mostra, agli scatti di Maffi si alternano testi e foto d’archivio di Antonia Pozzi in un intreccio naturale e simbiotico tra i due modi di rappresentare il proprio amore per la montagna.
Antonia Pozzi è figlia di una colta famiglia dell’alta borghesia milanese. Persona di estrema sensibilità – talmente estrema da portarla al suicidio a soli 26 anni – ha nella penna e nella macchina fotografica gli strumenti per svelare ed esprimere la propria anima.
Coglie appieno le grandi possibilità che le offre il contesto sociale, culturale ed economico in cui vive, riuscendo così a coltivare la sua passione per il sapere, per l’arte, per il bello che il suo spirito curioso ed intelligente cerca in ogni cosa.
L’amore per la montagna nasce da subito, da quando, all’età di sei anni, ha la possibilità di vivere parecchio tempo ai piedi della Grigna, a Pasturo, nella villa di campagna della famiglia. Alle passeggiate si susseguono le scalate, alle esperienze estive quelle invernali, alle montagne di casa quelle della Valle d’Aosta e delle Dolomiti.
Le montagne sono tra le fonti più significative delle sue opere: all’amico Dino Formaggio – noto filosofo e critico d’arte – scrive così: “Qui è l’essenza, il midollo, la fibra viva e contrattile della mia vita”. Una relazione con le cime, le pareti ed i ghiacciai che si sublima in una forte esperienza spirituale.
Visitare la mostra alla Sormani, lasciarci guidare dalle immagini di Maffi e dai versi della Pozzi, diventa così un’esperienza profonda che risveglia l’anima di noi visitatori. Viene così da chiedersi che cosa abbiamo fatto per meritare questo regalo e, drammaticamente, che cosa dobbiamo fare perché questo immenso dono non venga distrutto irreparabilmente.
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