Non tutti i concerti mantengono le promesse. A volte può non accadere nulla o ben poco, altre volte invece si ha la sensazione di assistere a qualcosa di raro e irripetibile.
È ciò che è successo ieri sera nella splendida cornice dell’Arena Santa Giuliana di Perugia per il secondo giorno di concerti di Umbria Jazz 2008.
Il programma sembrava interessante fin dall’inizio: prima parte di Stefano Bollani, pianista milanese arcinoto e pluridecorato, con il suo Progetto Carioca (disco di successo realizzato con cinque grandi musicisti brasiliani), seconda parte con Caetano Veloso, cantante simbolo della musica brasiliana e chiusura All together.
La formazione di Bollani apre il concerto con l’improvvisazione sussurrata del batterista Armando Marçal, a cui si uniscono con eleganza gli altri, entrando in scena uno alla volta: il percussionista Zè Nogueira, poi il contrabbassista Jurim Moreira e il chitarrista Marco Pereira, infine Stefano Bollani che conduce alla conclusione Luz negra, canzone che apre anche il disco.
Faranno poi il loro ingresso il sassofonista Zè Renato e i fedeli compagni di strada di Bollani nel gruppo I visionari: Nico Gori e Mirko Guerrini.
L’idea originaria infatti nacque da una tourneè de I visionari in Brasile, quando Alberto Riva, giornalista e amico di Bollani approfittò dell’occasione per farlo incontrare con alcuni musicisti del posto e lanciò l’idea di approfondire due generi della musica brasiliana meno conosciuti da noi rispetto alla Bossanova: il Samba e lo Choro. Detto fatto, l’idea ha avuto fortunatamente seguito e si è sviluppata nella reinterpretazione delle canzoni di Ari Barroso o delle più conosciute Tico tico no fubà (abitualmente storpiata nelle metropolitane di tutta Italia) e Segura ele.
Non trova spazio Antonio Carlos Jobim, a cui comunque Bollani aveva già dedicato l’album Falando de amor (dal titolo di uno choro del famoso compositore brasiliano).
La prima parte vola via con un Bollani concentratissimo di cui si nota il profondo rispetto verso la musica alla quale sta rendendo omaggio. Riduce al minimo le parole, le presentazioni e l’abituale ironia, non lanciandosi mai in soli all’arma bianca. Sembra non volersi prendere la scena con la forza di cui è capace, per lasciarla alla musica che risalterà dall’insieme di questi splendidi musicisti.
La seconda parte vede comparire Caetano Veloso. Semplice, solo con la sua chitarra e la sua inconfondibile voce. Saudade è un termine intraducibile, dicono, vicino alla nostra “nostalgia”, ma forse è il termine migliore per raccontare la sua esibizione, capace di commuovere e far sorridere allo stesso tempo. Egli sa rapire il pubblico ed evidentemente riesce a toccare le corde nascoste del suo popolo, che, con una piccola, ma generosamente rumorosa, rappresentanza è stato presente. Dedicherà poi una splendida canzone in francese al suo primo manager che gli fece scoprire l’Europa e che oggi non c’è più (la ripeterà due volte di fila, dicendo con naturalezza «questa la voglio ricantare») e incanterà letteralmente il pubblico con le sue ultime composizioni e con le canzoni di Ari Barroso, che, a suo dire, «sono state suonate da degli angeli nella prima parte del concerto» (Bollani e Pereira in Na baixa do sapateiro).
Il pubblico non è per nulla stanco e può gustarsi il gran finale con Veloso che ha talmente voglia di cantare da non sistemare nemmeno l’altezza del microfono e cantare accovacciato alla meglio, come un bambino (in delirio i brasiliani quando felice inizierà a ballare). Bollani duetta con la fantasia di sempre e con la misura e la moderazione di cui sopra.
Il pubblico, in piedi, abbandona la disposizione canonica dei posti e si avvicina al palco, in cerca di continui bis e di un ricordo da catturare col cellulare.
È il giusto calore che si merita chi ha mantenuto le promesse e le ha generosamente scavalcate.
(Franco Mila)