Davide Van De Sfroos conclude questa sera a Milano, Teatro Smeraldo, la fortunata serie di concerti “Musica Teatro Immagini”. Un tour che lo ha portato a visitare i teatri di praticamente tutta la Lombardia, dalla Valtellina al cremasco e giù fino a Voghera, nel tentativo di recuperare luoghi dello spettacolo che spesso vengono limitati alle musiche colte, aprendone invece le porte a un pubblico trasversale, nell’età e nelle classi sociali.
Una sorta di “teatro canzone”, questo che Van De Sfroos ha portato in giro per ben trenta date, con la collaborazione del regista varesotto Andrea Chiodi, dell’attrice Stefania Pepe e di una serie di ospiti a sorpresa che a ogni tappa sono saliti sul palco per interagire con Van De Sfroos.
Un ospite a sorpresa ci sarà anche questa sera a Milano, ma proprio per questo non ha voluto rivelarcelo. Un’intervista in cui il cantautore “laghée” ci racconta cosa ha voluto dire per lui questa esperienza, parla dei nuovi progetti e fa il punto su chi è oggi, dopo tanti anni di carriera, Davide Van De Sfroos.
“Musica Teatro Immagini”: raccontaci cosa ha voluto dire per te questa esperienza inedita.
Più che inedita, il compimento di un modo di stare sul palco che ho in qualche modo sempre portato con me. Misurarmi con il teatro è sempre stato qualcosa che mi stava a cuore. Il desiderio era quello di dare maggiore consistenza alle mie canzoni, alle mie storie, al mio modo di propormi.
La dimensione teatrale permette alle canzoni di avere un substrato più potente, non si salta non si balla come ai concerti in piazza, ma c’è più retroscena, c’è un racconto parallelo alle canzoni che prende vita. Ho sempre notato che al mio pubblico piaceva questo tipo di approccio. Da solo, potevo arrivare fino al teatro canzone, potevo avere delle idee ma era un tipo di approccio molto improvvisato. Invece questa volta abbiamo studiato un approccio veramente teatrale, sin dai luoghi in cui veniva proposto lo spettacolo che erano veri e propri teatri, alle persone che mi hanno aiutato: in primis l’attrice Stefania Pepe e poi il regista teatrale Andrea Chiodi, il tutto con scenografie adeguate. Usando i veri tempi teatrali ho imparato a mettere nel contenitore le mie cose ma con il giusto modus operandi del teatro.
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Com’è nata questa idea?
L’idea è venuta all’assessore alla cultura della Regione Lombardia, Massimo Zanello dopo aver lavorato insieme al Festival delle Identità di cui sono stato direttore artistico. Mi ha chiesto di pensare qualcosa che potesse servire a far rivivere i piccoli teatri di Lombardia, mai tenuti nella giusta considerazione. La mia idea era quella di tornare ai tempi di Shakespeare, quando la piazza entrava a teatro. Oggi invece il teatro è vissuto come qualcosa in cui andare per le occasioni speciali, dove ci devi andare in pelliccia. Invece noi abbiamo riaperto i teatri a tutti, magari anche teatri che sono a malapena in corso di ristrutturazione.
Ogni sera sul palco saliva un ospite a sorpresa. Con chi ti sei trovato maggiormente a tuo agio?
Assolutamente con tutti. Se proprio devo ricordarne qualcuno, posso dire Beppe Dettori dei Tazenda, con cui abbiamo duettato nei dialetti della Sardegna e della Lombardia. Oppure Frankie Hi-Nrg con cui abbiamo rappato di tutto, anche dei sonetti medievali. Penso alla serata con Ale e Franz (i due comici diventati famosi grazie a Zelig, ndr), un momento molto divertente per me ma anche per il pubblico. Ricordo con piacere il grande Alberto Patrucco che ha mischiato canzoni di Brassens con la sua comicità, oppure Nanni Svampa che ha regalato momenti di grande intensità. Giovannardi dei La Crus che ha duettato con Syria.. Insomma ogni sera era per me e per il pubblico una sorpresa.
Adesso riparti con una nuova serie di concerti, il “Club Tour”, a partire dal 9 aprile…
Sì, questa sarà ovviamente un’esperienza maggiormente musicale, più rock… Piccoli club sparsi qua e là, pensa che finiremo anche a Londra, città in cui non sono mai stato in vita mia. Non so chi ha avuto questa idea, né come sia saltata fuori una data a Londra, ma sarà sicuramente divertente.
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A luglio sarai uno degli ospiti di punta del Brianza Blues Festival che si terrà alla Villa Reale di Monza. Tu in passato hai fatto un tour intero dedicato al blues: che cosa è il blues per te?
Il blues per me non è quella serie tipica di accordi che lo definiscono. Io non sono neanche in grado di scimmiottare un blues. Quello che io faccio è il blues di casa nostra, recuperare quello spirito, quel mood, quella malinconia che lo costituiscono e che io ritrovo in tante canzoni popolari italiane. Ho capito questa cosa quando andai a New Orleans, una città mitica che ha tantissime cose in comune con i miei microcosmi, e lì ho capito che è giusto frequentare il proprio blues. In questo senso la mia canzone La ninna nanna del contrabbandiere è blues. Non è la forma musicale, ma è la credibilità delle radici, è il ritratto radicale di qualcosa che vuoi cantare. Io credo di non essere un bluesman nel senso musicale, in Italia ce ne sono tantissimi che lo fanno benissimo. Io credo di essere blues come riportatore di storie, come storyteller.
In questo tour teatrale hai proposto anche canzoni nuove. C’è un nuovo disco in arrivo?
Al momento no. Ci sono idee e canzoni che stanno prendendo forma, canterò alcune canzoni nuove anche questa sera, però devo ancora dare una idea al prossimo disco.
E un nuovo libro? Tu hai pubblicato splendidi romanzi e raccolte di racconti che a qualcuno hanno fatto dire che quella è la tua vera anima.
Mi piace moltissimo scrivere. Anche in questo senso ho delle idee. Questa volta mi piacerebbe fare una sorta di “libro fiume”. Non dico una roba delirante come “Tarantola” di Bob Dylan, però qualcosa che possa ripercorrere lo stile de “Il pasto nudo” di Burroughs. Mi sono sempre sentito vicino agli scrittori della Beat Generation, in qualche modo me ne sento parte. Quello che voglio fare è dilatare delle poesie e farle diventare un libro.
Cosa c’era di vero in quelle voci che ti volevano sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo?
Mah… Quando è circolata la voce che a Sanremo ci sarebbe stata una sezione dialettale, tutti hanno cominciato a fare il mio nome. La gente mi telefonava per dirmi che vi avrei preso parte, ma non mi è mai arrivato nessun invito ufficiale dal Festival. Non sono un che scalpita per andare a Sanremo, ma non sono neanche uno di quelli che lo maledicono.
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Sei stato il direttore artistico del Festival delle Identità che si è tenuto recentemente al Teatro Arcimboldi di Milano. Tra le altre cose hai duettato con Francesco De Gregori. Che ricordo hai di quella esperienza?
Il duetto con Farncesco è stato uno di quei rari casi in cui puoi parlare di esperienza perfetta. Noi siamo persone che vengono da realtà diverse, di età diversa, ma in in un modo o nell’altro ci siamo incontrati. Con Francesco ci siamo conosciuti anni fa quando entrambi abbiamo preso parte alla Notte della Taranta in Puglia e da allora siamo amici. In modo molto discreto, ci si sente una volta ogni tre, quattro mesi, si parla di storie antiche della gente, cosa che piace ad entrambi, si parla di musica.
Quando gli ho chiesto di partecipare al festival ha accettato e si è comportato da grande professionista senza capricci. Riuscire a farlo portare sul palco una canzone come Generale di cui probabilmente ha le tasche piene e a incrociarla con la mia Sciurr capitan è stato un grande momento. Un duetto che avevamo provato al pomeriggio, nei camerini. Quando sono sceso dal palco mi sono reso conto dell’eccezionalità di quanto era accaduto: alla luce dei miei 44 anni, aver duettato con De Gregori agli Arcimboldi in una canzone che ha segnato epoche diverse come Generale, che è stata ripresa da tanti artisti, mixata poi con una mia canzone, mi ha fatto sentir parte di un modo italiano di raccontare storie con la chitarra in mano che m ha reso orgoglioso.
Dopo tanti anni di carriera, chi è oggi Davide Van De Sfroos?
Van De Sfroos è sempre lo stesso, il viaggiatore curioso, che entra in un mondo di cose che possono cambiare ma quello che non cambia è la sua radice interna. Dopo aver tenuto stretto al petto un certo tipo di sentimento per tanti anni è difficile cambiare. Magari potrò diventare rimbambito, ma difficilmente lo farò in modo diverso da quello che sono. Io mi rimbambirò alla Van De Sfroos.