Il documento di per sé è eccezionale. Perché l’evento fu eccezionale. Siamo nel luglio 1986, all’interno dell’ultima tournée dei Queen, quella successiva all’uscita di A Kind of Magic. La band inglese è fra le prime ad oltrepassare la cortina di ferro e a recarsi a Budapest per un concerto che vedrà la presenza di più di 80.000 persone (l’intero tour alla fine annoverò più di un milione di presenze). Per l’occasione il concerto fu ripreso audio e video con un potente spiegamento di mezzi ed uscirà, per iniziativa di Microcinema Distribuzione, in più di 200 sale italiane il prossimo 20 novembre 2012.
Il materiale non è nuovo: era uscito quasi completamente in videocassetta già nel 1987. E occorre aggiungere subito che la qualità generale del suono non è così avvolgente e compatta come ce la si aspettava. Ma, conclusa la pars destruens, passiamo ad analizzare i dati positivi, che potrebbero giustificare la spesa dei soldi del biglietto.
Innanzitutto è un’esperienza emozionante rivedere in scena uno degli animali da palcoscenico più coinvolgenti e accattivanti che la storia del rock abbia mai sfornato. Freddie misura le assi del palco e i vari soppalchi con la sua falcata inconfondibile, canta, suda, soffre, talvolta camuffa qualche nota a cui non arriva perfettamente. Si ferma solo per i due entusiasmanti episodi di Love of My Life e Who Wants to Live Forever, che portano sempre grande commozione.
Poi: si vede in scena una delle band più vigorose e solide, all’apice della sua carriera. I quattro (Freddie è anche un valente pianista, non dimentichiamolo) sono coadiuvati anche dalla presenza sul palco, finalmente non più nascosta, di Spike Edney, tastierista e vocalist, in quegli anni considerato il quinto Queen member.
Il concerto è una carrellata ininterrotta di hit, senza soluzione di continuità: One Vision, incollata come apertura a Tie Your Mother Down; il “Uo-Uo-la la la” di In The Lap of the Gods cantato da tutto lo stadio; l’intensità di Is This the World We Created, altro episodio orchestral-acustico di altissimo livello. E fra Friends Will Be Friends e Bohemian Rhapsody, sarebbe lungo elencarli tutti.
Insomma, il valore di questo documento è da cercare nell’ingrediente principale, che tutti vorremmo fosse ancora tale in concerti e spettacoli televisivi, e che invece troppo spesso è sostituito dallo show per lo show, dalla spettacolarizzazione a tutti i costi, da altri elementi marginali. L’ingrediente costitutivo è la grande musica. È vero ci sono i cambi d’abito (se così si può dire) di Freddie, fino all’ultimo, ormai classico, mantello con strascico e corona. Ci sono le mise degli altri, talvolta al limite dell’imbarazzo (siamo negli anni ’80). Ci sono le luci e tutto il resto, ma l’elemento che fa da padrone sono loro: le possenti, solide, melodiche e talvolta graffianti canzoni dei Queen. Ascoltate in una buona situazione audio, viste in un contesto spettacolare di per sé, rifocalizzate al culmine della carriera della band, in una sorta di salto nel tempo (sono 26 anni, ma sembrano molti di più) suggestivo ed affascinante.
Vale la pena, quindi? A mio avviso sì: per i fan, un passaggio a volo radente e ravvicinato fra le canzoni più amate; per gli assoluti profani, un modo privilegiato di avvicinarsi ad una delle band che ha cambiato il corso della storia, seminando un certo numero di capolavori. Certo, se vi piace almeno un pochino il rock sentito ad alto volume.
(Walter Muto)