Certi concerti segnano e rimangono dentro per diverso tempo. Ogni volta che succede ci si rende conto del perché si perde tanto tempo dietro alla musica e quanto vale spendere tanto di se stessi per andare a vedere un tizio (o dei tizi) che si spera regali(no) quelle emozioni. Nel 2003 al Forum di Assago Ben Harper realizzò uno di quei momenti. Si emozionò (poi disse) lui ed emozionò tutti. Fu uno di quei momenti. Chi c’era lo sa. Rivisto negli anni successivi, rinnovato la backing band e lo stile, qualcosa si era perso. Una virata al pop, l’altra al soul più mainstream e qualche soluzione poco incisiva, hanno incrinato l’intensità del rapporto artista-fan.
L’uomo rivisto al “Magic Castle” di Vigevano non è più lo stesso. Sembra che qualcosa si sia rotto in lui. Il pubblico continua ad amarlo ma lui sembra non restituire tutto il calore che riceve. Ben Harper & Relentless 7 salgono dopo poco più di mezz’ora dalla fine del mini set d’apertura (un po’ troppo pop per i miei gusti) de ‘Il Cile’. L’inizio promette bene, sbolognano subito una “Don’t Give Up On Me Now” single-hit di “Give Till It’s Gone”, il loro ultimo lavoro. Una partenza che lascia speranzosi e la successiva “Diamonds On The Inside” sembra dirigere il concerto nella giusta direzione. Il pubblico pende dalle labbra di Ben regalandogli una grande ovazione sulle ultime note del brano. Poi inizia la salita: “Spilling Faith”, brano scritto con Ringo Starr, come ricorda Ben, è un brano mediocre, anche se l’ottimo apporto dei Restless 7 ne risolleva la pochezza. Ben sembra distaccato, certo ringrazia, sorride, ma niente guizzi di vera gioia, sembra quasi recitare.
Finalmente appare la slide eletrica e la southern (nel senso di Mississippi) “Numbers With No Name” scorre via veloce e precisa. Via la slide si passa alla Weissenborn, strumento con cui Ben ha caratterizzato il suo stile. Un colpo che definire basso è poco: rimasto solo il cantante di Claremont propina 20 minuti di assolo tristissimi e nonostante il pubblico applauda un paio di volte sperando finisca (!!!) sembra duri per ore. Si iniziano a sentire i primi fischi e Ben accelera il tutto finendo in modo roboante con un misto di mestiere e fretta.
Sempre solo esegue “Another Lonely Day”, “Waiting On An Angel” e “Suzie Blue” e viene fuori il grande dolore che probabilmente affligge il cantante. Ha infatti appena divorziato dalla moglie Laura Dern e certo non deve essere stato un fatto che non ha lasciato tracce in lui.
La band ritorna per “Fly on time”, brano scarsetto con una lunga coda strumentale. A questo punto il gruppo esce e rientra per i soliti bis (saranno cinque) in cui spiccano “Better Way” e “Amen Omen” sempre splendida anche in questa versione con il freno a mano tirato. In “Glory And Consequence” trova spazio un medley con “Jeremy” dei Pearl Jam allungando il brano a dismisura. Conclude il set un pezzo che Ben compose a Verona: “Better Than I Deserve”, partecipatissimo dal pubblico che spera ancora in qualche altro guizzo ma è inutile, the show is over. Harper saluta e ringrazia con delle frasi retoriche (“You are the best crowd in the world”) e se ne va e con lui gli altri.
La sensazione è stata di totale perdita della connessione con chi lo ha amato finora e la speranza che lo show fosse stato in qualche modo confezionato per la serata svanisce rileggendo poi le setlist degli show precedenti e successivi: praticamente identiche e nulla era lì apposta. Una grossa delusione quando un’icona si incrina e la speranza è che Ben ritrovi se stesso e ritorni su qualche passo per poi continuare a sorprendere come ci aveva abituati.
(Raffaele Concollato)