Se Maometto non va alla montagna, allora… e così quest’anno per garantirmi un altro giro sulla giostra dello show di Mr. Springsteen ho colto al volo la chance di vederlo muoversi nel suo ambiente di casa.
Ieri sera il Boss ha fatto tappa nel cuore del Midwest, a Columbus, Ohio. Cittadina provinciale università-centrica che ben incarna il ruolo di “pancia” degli States, dove le passioni muovono e sfidano il freddo – che ancora regala neve a metà aprile – ad uscire di casa per una serata in compagnia di questa leggenda vivente. Ci si rende conto appunto della dimensione “leggendaria” di quest’uomo dal fenomeno anagrafico sugli spalti: davanti a me una coppia almeno sui 70, io 40 anni indietro, sul palco a cantare Waiting on a Sunny Day una coppia di ragazzine che avranno pressapoco l’età dell’album che la contiene…
Non delude le attese – anche quelle esigenti di chi si è abituato ad apprezzare il Boss live su palchi come San Siro – e offre una performance che sfiora le 3 ore con intensità crescente. Lui, con un look che ritorna verso un pizzetto svecchiante, sembra progressivamente prenderci gusto, ringiovanendo nel corso della serata.
Come in ogni buona squadra di ciclisti però, si intuisce che nel gruppo non possono tirare sempre i soliti: Steve è assente giustificato – voci dicono stia girando una nuova serie tv – Patty, che aveva saltato il tour invernale nell’altro emisfero e si è aggregata alla compagnia da una settimana, ha mancato l’appuntamento… ne restavano “solo” altri 17 sul palco.
Tra questi si fanno apprezzare i sempre più integrati ed essenziali background vocalist che, assieme alla horn session, arrotondano il sound della E Street Band. Resta – parere personale – un oggetto misterioso quel matto geniale di Tom Morello: Bruce piazza presto in scaletta pezzi come Adam rised a Cain e Prove it all Night indulgendo in assoli notevoli, con la compagnia di Nils Lofgren che su quest’ultimo regala uno spinning-solo sempre gustoso. Un po’ come a dire: “caro Tom, questo e’ affar mio!”.
Salvo poi sfoderare il nuovo gadget sulle re-incisioni come American skin – incredibilmente attuale in un paese per vocazione multietnico che si scopre sempre spaventato e in imbarazzante chiusura verso l’altro – e The Ghost of Tom Joad. All’apice del solo di quest’ultima, il folle fa cadere anche le mie riserve, sconnettendo il jack della sua Fender e suonandolo con le mani e distorsore… speachless!!!
Chicche della serata da portarsi dentro: i venti metri di surfing sui fan del pit per tornare sul palco durante Hungry Heart dopo un giro di selfies mentre Jake Clemons con la sua onnipresente sciarpina dava fiato al sax; il cartello con tanto di luminaria per richiedere l’immortale Blinded by the Light; la chiusura del main set con la doppietta Badlands e un’insolita ed energizzante Light of Day, una rarità di questi tempi; i tanti momenti “ballabili” come la Johnny 99 sempre più appannaggio dei fiati e un interminabile Shout in chiusura dei bis.
Congedata la ciurma, Bruce si concede un ultimo lungo abbraccio con Columbus smorzando le luci, sedendosi ad un organetto e coinvolgendo in un’appassionata Dream Baby Dream che accompagna sulla strada verso casa la folla – non prima di aver invitato a sostenere all’uscita una charity della zona; nella settimana in cui la working class americana compila le proprie dichiarazioni dei redditi, suona come un invito a guardare oltre ogni crisi e a non spegnere lo spirito che ha fatto e fa grande questo paese.
(Carlo Resteghini)
Ecco la setlist della serata:
High Hopes
Adam raised a Cain
Death to my Hometown
Hungry Heart
Blinded by the Light
Prove it all Night
Trapped
Wrecking Ball
The River
American Skin – 41 Shot
Johnny 99
Darlington County
Shackled and Drawn
Waiting on a Sunny Day
The Ghost of Tom Joad
The Rising
Lonesome Day
Badlands
Light of Day
Encore
Backstreets
Born to Run
Bobby Jean
Dancing in the Dark
10th Avenue Freeze Out
Shout
Dream Baby Dream