Robert Fripp non è nuovo a pensamenti e ripensamenti a seconda di come la realtà si presenta davanti. Già nel 1974 chiudeva l’epoca dei King Crimson e al suo ritorno sulle scene musicali si rifiutava di eseguire i brani della creatura a cui era legato. Ma già nel 1981 dopo aver ritrovato lo stesso spirito dei primi tempi cambiò il logo del gruppo Discipline in King Crimson et voile i tre dischi degli 80.
Pochi anni fa annunciò il ritiro dalle scene musicali ed è stato contraddetto dall’uscita della collaborazione del trio Fripp, Jakszyk, Collins con sezione ritmica di Levin e Harrison, il batterista che da anni corteggiava perché entrasse in una nuova formazione dei King Crimson come quella durata una sola settimana e subito abbandonata nel 2008. Poi è arrivato addirittura l’annuncio di un tour autunnale negli Stati Uniti di una nuova line up composta da sette elementi: chitarra, chitarra e voce, sassofono, basso/stick e tre batterie. Line up formata dagli stessi del progetto del trio con l’aggiunta delle due batterie del veterano Pat Mastelotto e di Bill Rieflin già della scuola musicale di Fripp.
C’è sempre da stupirsi quando si parla dei King Crimson e anche questa volta è partita una nuova avventura senza salvagente e senza aver preparato nuovo materiale
Adesso per i curiosi di come può essere il nuovo sound con un componente storico della prima line up come il sassofonista Mel Collins (non sono più stati usati fiati dagli anni 70) esce un documento live del tour americano: il “Live at Orpheum” registrato il 30 settembre 2014 a Los Angeles. In realtà non consiste dell’intero concerto ma di un estratto come una cartolina di saluto o un biglietto da visita per chi non ha potuto essere presente: eccoci qui.
L’estratto viene introdotto dagli applausi accoglienti del pubblico, cenni di improvvisazioni di soundscapes, contrabbasso e flauto (ricordano i tour con Theo Travis) e la riproposizione delle prove d’orchestra che chiudevano la fine della prima lineup in Islands (un’eco di ‘Revolution Number 9’?) come a dire: Mel ripartiamo da dove c’eravamo lasciati.
Prosegue poi con la scelta di ‘One More Red Nightmare’ brano tratto da Red, il disco della fine. La fine dei KC dei 70, allora intesa in modo definitivo, canzone mai suonata dal vivo dalla band, sciolta appena dopo la pubblicazione dell’album, e ripresa dal vivo dal solo John Wetton, ma senza il logo KC.
Red è un disco con un senso di imminente tragedia il brano proposto parla del panico da aereo frequente in chi come una rockband doveva trasferirsi in tour con molta frequenza da una città all’altra, qualcosa di minaccioso è nell’aria e la resa di questa formazione é molto potente con Jakszyk che usa un hendrixiano wah wah, Levin al basso e tre batterie in piena attività.
Subito dopo, proprio per rimarcare la novità del suono delle tre batterie, ecco una bella improvvisazione tutta campanelli orientali che richiama certe direzioni accennate con ‘shonagai’ e ‘power to believe part 2’ ma, all’epoca, non sufficientemente esplorate per dare spazio al nu metal di riferimento nei primi anni 2000. Infatti l’improvvisazione diventa una introduzione alle composizione di quegli anni dell’era Belew, Gunn, Mastelotto: ‘The Construkction Of Light’ con il suo incessante lavorio di ricostruzione della luce tra inesauste scalate e precipitose cadute. L’amalgama tra vecchio e nuovo viene affidato agli interventi di sax e flauto di Collins, mentre i bassi di Levin rendono più corposo il suono impreziosito dal lavoro delle batterie
Di nuovo un tuffo in Islands, l’album dell’isolamento, dell’incomunicabilità, con ‘The Letter’ brano delicato e dai forti contrasti che racconta il dramma di un tradimento, la cui vittoria viene comunicata dall’amante alla moglie dell’uomo conteso, tramite la lettera del titolo.
Continua la scaletta sempre da Islands con uno dei primi grandi strumentali di Fripp, ovvero quella stupenda Sailor’s Tale con l’assolo per accordi alla Django Reinhardt in cui si possono immaginare le paure dei marinai tra mostri ignoti, seduzioni di sirene, tempeste di mare e naufragi.
Un disco che parte dalla fine non può finire che con… la fine, ovvero quella ‘Starless’ dopo la quale Kc cessò di esistere, il canto del cigno di un’epoca in cui la speranza virava al grigio e non rimaneva altro che una notte senza stelle, nera come la bibbia (il verso è preso da un poema di Dylan Thomas e il riferimento è al nero delle bibbie dei protestanti) a cui anche Collins aveva partecipato come ospite in studio. Qui riesce a stupire con una meravigliosa resa del crescendo strumentale nel dialogo tra le due chitarre e il sax.
Insomma, tra vecchia fine e nuovo inizio il sound documentato in questo selfie è molto potente e delicato ad un tempo e viaggia spedito sulle vele del sax e flauto del ‘nuovo’ Mel Collins. Una sorta di ‘ritorno al futuro’ che val la pena assaporare in questo piccolo scorcio pubblicato per tutti: il tempo farà vedere se emergerà nuova musica da suonare o no.
(Pierluca Mancuso)