FESTIVAL DI SALISBURGO/ “La conquista del Messico” secondo Wolfgang Rihm
Al festival estivo di Salisburgo la complessa opera diretta da Wolfgang Rihm dedicata all’amore impossibile fra Cortez e Montezuma, La conquista del Messico. di GIUSEPPE PENNISI

Dopo i primi dieci giorni dedicati a musica dello spirito (di differenti religioni) e soprattutto alla sacra rappresentazione moderna Jederman (‘Ognuno’) di Hugo von Hofmannsthall, la sezione di teatro in musica del Festival estivo di Salisburgo 2015 (18 luglio -30 agosto) è stata inaugurata da Die Eroberung von Mexico (‘La Conquista del Messico) di Wolfgang Rihm, il quale dal prossimo autunno sarà ‘compositore residente’ del Teatro dell’Opera della Capitale ed è uno dei maggiori autori contemporanei di teatro in musica.
Non ci si aspetti un colossal come l’opera ‘imperiale’ Fernando Cortez scritta da Gaspare Spontini per l’Imperatore di Prussia Federico II. Tanto meno una storia romanzata come il film di Henry King del 1947 oppure un’opera chiaramente di parte politica (contro gli spagnoli) come il film del 1999 di Alexandro Jorodowsky.
E’, tuttavia, un lavoro profondamente politico. Si inserisce tra i temi di fondo di questo festival in gran misura dedicato all’incontro e allo scontro tra civiltà (e generi) differenti. Tratto da un racconto di Antonin Artuad degli Anni Trenta, il tema è il rapporto di coppia tra chi proviene da civiltà e culture differenti: se non c’è equilibrio (di potere e non solo) , si va alla distruzione della stessa società. Il dramma ha due soli protagonisti: Cortez (un baritono) e Re Montezuma (un soprano drammatico). Tra loro ci sono monologhi alterni, tranne uno struggente duetto finale che, però, avviene dopo la morte di ambedue. Un filo di speranza dopo due ore e venti (intervallo compreso) di una rappresentazione cruda in cui non mancano estremi di violenza. Potrebbe svolgersi nel Messico all’epoca dei conquistatori oppure in qualsiasi altra epoca.
Regia (Peter Konwitschny), costumi e scene (Johannes Leiacker) e video (della Fettfilm) situano il dramma in un condominio ai giorni nostri. Ambiente elegante, un divano letto, un quadro di Felix Kahòp (La cerva ferita), computer e iPad, cellulari, una terrazza ed enorme parcheggio, con alcuna auto in pessime condizioni ed una Ferrari di proprietà del ‘macho’ protagonista.
Un uomo (Cortez, interpretato da Bo Skovus) e il Re Montezuma (interpretato dal soprano drammatico dai tratti androgini, Angela Denoke) esprimono mondi differenti, ma pur se non è chiaro se si amino, hanno rapporti carnali anche se non si stabilisce tra loro un effettivo equilibrio. Gli spagnoli uccidono il Re Inca ma gli Inca in rivolta, fanno strage degli spagnoli (e Cortez si suicida). Si ricongiungono in un estatico duetto finale. Quindi, un confronto a due, anche se Montezuma è supportato da un soprano dal registro molto alto e da un contralto, Cortez da due voci maschili recitanti, e il coro prende le parti ora dell’uno ora dell’altro protagonista. I due protagonisti, eccellenti cantanti ed eccellenti attori, hanno dato anche prova di grande stamina fisica.
L’orchestra (48 elementi) diretta da Ingo Metzmacher è situata, oltre che in buca, in varie parti della sala in modo da avvolgere gli spettatori, con l’ausilio sia di strumenti etnici latino americani sia di live electronics. Spettacolo senza dubbio duro, crudele e con momenti di estrema violenza, ma affascinante. Alla terza rappresentazione, il 29 luglio, a cui ho assistito, circa dieci minuti di ovazioni più che di applausi.
Resta la domanda: è possibile un incontro tra civiltà, e generi, cos’ differenti ed istintivamente portati ad uccidersi a vicenda? La risposta di Rihm sembra essere che è fattibile unicamente tra anime.
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