Da martedì 29 settembre al 1 ottobre sarà nelle sale cinematografiche un film a cui si può applicare senza smentita almeno un aggettivo: monumentale. Se ne può avere, ma vagamente, un’idea guardando il trailer su youtube. Ma di cosa si tratta?
Il nome Roger Waters dovrebbe dire qualcosa: uniamo il suo nome alla celeberrima rock band dei Pink Floyd, dalla quale in ogni caso si è staccato la bellezza di 30 e rotti anni fa. Sì, perché Waters di anni ne ha 72, classe 1943, e dopo l’avventura con la band (e le successive disavventure legali per l’uso del nome Pink Floyd) ha ricamato una onorevole carriera solista, culminata nella tournée che in quattro anni lo ha portato in tutti i continenti, ad incontrare complessivamente circa quattro milioni di spettatori con lo show The Wall, riproposizione dell’omonimo album del 1979 dal vivo, in uno show anch’esso monumentale e ricchissimo anche dal punto di vista della scenografia e degli effetti speciali.
Bene: chi è andato a quello show ha fatto un’esperienza unica, chi vede questo film ci si avvicina, con in più il vantaggio di un suono perfetto, molto probabilmente, cominciamo a notare, aggiustato in studio, specialmente le voci. Ma questa non è una novità, con i live si fa da anni, e lo si fa con lo scopo di dare allo spettatore una resa perfetta delle canzoni. Il risultato è veramente strabiliante, il suono è ottimo, il mix in Dolby Atmos magistrale.
Ma il progetto parte da lontano, naturalmente, perché il materiale video del film è stato girato in 4K – non chiedetemi cosa significa, accontentatevi del giudizio da profano: la fotografia è strepitosa, le riprese dai concerti incredibilmente vivide.
E la storia? Perché in un film ci vuole anche quella, fino a prova contraria. Il film si sviluppa su più livelli: alle canzoni del concerto viene interpolata la narrazione di un viaggio, quello che, in una sorta di road-movie di lusso, Waters compie a bordo di una elegante Bentley dal Regno Unito, attraverso la Francia, per giungere alla fine in Italia. Il viaggio è compiuto da solo, ma a tratti nell’auto si materializzano alcuni compagni di viaggio (e questo ci ricorda il film autobiografico di Nick Cave 20,000 Days on Earth) con cui Waters dialoga. La morte del padre in guerra, quando Roger aveva solo pochi mesi, è motivo e destinazione di questo viaggio, che lo condurrà sulla spiaggia di Anzio, luogo della morte del padre e al cimitero di guerra di Cassino, luogo della sua memoria. Passando però per il luogo dove morì anche il nonno, durante la prima guerra mondiale, quando il padre aveva meno di 2 anni.
La storia si snoda dunque come la ricerca di un senso e allo stesso tempo la condanna di qualunque guerra. Sul grande muro che fa da scenografia al concerto passano le immagini dei morti delle guerre più disparate, senza distinzione di schieramento, dai soldati americani, a quelli iracheni, alle vittime dell’11 settembre, ai civili uccisi per sbaglio a Baghdad o alla persona uccisa nella metro di Londra dalla polizia, credendola armata. Non manca la condanna del fatto che ogni guerra è – secondo Waters – essenzialmente una questione di business.
In questa sua logica, decide di mettere insieme la croce, la stella ebraica, la mezzaluna, la falce e martello, il simbolo del dollaro e quello di Mercedes e Shell, che vengono scaricati dai bombardieri. D’altronde Waters non ha mai nascosto le sue simpatie politiche e in questo film, insieme alle spettacolari immagini dei concerti e al suo percorso personale, trova spazio anche la sua condanna del capitalismo, o meglio del business della guerra, appunto. Forse nota un po’ stonata se si pensa – tentando di evitare il moralismo – a quanti profitti deve aver generato una tournée di 219 concerti nei cinque continenti che ha avuto, come già ricordato circa 4 milioni di spettatori.
Il messaggio forte del film, in ogni caso, è comunicato con vigore: due guerre hanno portato via a due figli la diretta memoria del padre. Il tentativo di Waters è quello di sciogliere questo nodo, con questa sorta di viaggio fra sogno e memoria, con la colonna sonora impeccabile delle canzoni di The Wall, proposte qui integralmente, portando la durata del film a due ore e un quarto. Per chi avesse poi voglia di fermarsi in sala un’altra mezz’ora, c’è una bonus-track: The Simple Facts, chiacchierata interessante, anche se un filo posticcia, fra Roger Waters e Nick Mason, batterista dei Pink Floyd. Non esente dal rischio “pomeriggio col nonno alla casa di riposo”, lo scambio è tuttavia piacevole: i due rispondono ad alcune domande dei fan pescate da un mazzo di cartoncini e rivelano alcuni particolari sulla storia della band. I fan più accaniti giudicheranno se ci sia qualcosa di nuovo oppure no.
Tirando le fila: le canzoni belle e profonde rimangono, la metafora è cambiata. Se nel 1979 il muro da infrangere era quello della psiche turbata di una rockstar, nel 1990 quello di Berlino appena crollato, oggi il muro da non costruire più è quello delle vittime delle guerre, di tutte le guerre, le cui foto si sostituiscono ai mattoni, durante il concerto e sui titoli di coda del film.
È vero che dal punto di vista musicale siamo a 35 anni fa, ma la bravura della band, la bellezza del suono e delle immagini ed anche il concetto espresso mi fanno concludere che se si può ancora parlare oggi di Opera Rock, questa lo è. E vale la pena di andarla a vedere nei cinema, il 29 e 30 settembre e il 1 ottobre.