The End of the End, ovvero l’ultima data dell’ultimo tour dei Black Sabbath, il 4 febbraio 2017 alla Genting Arena di Birmingham, città originaria del leggendario gruppo pioniere dell’heavy metal e del dark sound, rivive per un solo giorno, il 4 ottobre, nei cinema, in un film girato da Dick Carruthers e distribuito da Nexo Digital, in attesa dell’uscita in dvd e blu-ray il 4 novembre.
Si tratta di un ritorno a casa simbolico, la chiusura di un cerchio aperto nel 1968 con la fondazione degli Earth, gruppo blues ben presto diventato Black Sabbath prendendo in prestito il titolo inglese del film I tre volti della paura di Mario Bava, sbirciato da un manifesto in un cinema di fronte alla sala prove a Birmingham. Una città di acciaierie e di metallo, una sorta di capitale del British Steel, perché qui o nei dintorni si formarono gruppi come Judas Priest e Diamond Head, oltre a band industrial/grindcore come Napalm Death e Godflesh, senza dimenticare che un certo Robert Plant nacque a West Bromwich, a due passi da Birmingham…
Già nel 2013, con l’album 13, il gruppo di Ozzy Osbourne, Tony Iommi e Geezer Butler (meno il batterista Bill Ward, con il quale pare sia stato impossibile riallacciare i rapporti, più Brad Wilk di fama Rage Against The Machine/Audioslave) aveva mostrato di voler riannodare i fili di un discorso intessuto negli anni tra il 1970 e il 1972 con i primi quattro formidabili album, alla ricerca di quel suono oscuro, limaccioso e pesante. Inconfondibile. I risultati erano stati più che rispettabili, ma, a parte un paio di brani, i concerti che ne erano seguiti, non appena Tony Iommi si era ripreso dal linfoma che l’aveva colpito, si erano incentrati sul repertorio dei primissimi anni, per la gioia dei fan duri e puri. Il tour successivo, intrapreso sul finire del 2015, ha trovato compimento proprio a Birmingham il 2 e il 4 febbraio scorsi, davanti a un pubblico entusiasta e visibilmente commosso, anche e soprattutto negli spettatori più giovani. Tolto qualsiasi riferimento all’attualità, il concerto finale diventa un addio solenne e un ritorno là dove tutto era iniziato. Come spiega Butler, il gruppo ha voluto evitare che questa reunion diventasse una stanca routine, pur se Tony Iommi lascia una porta aperta a qualche evento speciale. E dopotutto nel 2018 cadrà il cinquantenario della formazione della band…
Ma veniamo al lfilm. Poche note in una sinistra, lenta cadenza introducono il primo pezzo dal primo album, ovviamente Black Sabbath, e la magia si ripete per l’ennesima volta. Il terrore nella voce di Ozzy, che si ritrova di fronte a un’entità oscura, minacciosa, demoniaca, sfocia nella fuga e poi nel richiamo all’aiuto di Dio: come rivendica Geezer Butler, il bassista autore della maggior parte dei testi del gruppo, la band non fu mai satanista, ma qui in particolare cercava di mettere in guardia l’ascoltatore, un uomo fragile come il protagonista della canzone, dal Male nella sua essenza più pura. Certo, osserva Tony Iommi, le immagini di croci rovesciate, le atmosfere cupe e i temi macabri affrontati in quelle canzoni dal suono così oscuro contribuirono alla sinistra fama del gruppo, e attirarono ogni sorta di freak fin nei corridoi dei loro alberghi. Ma, aggiunge, i Black Sabbath non erano i Black Widow, che nei loro show si spingevano fino a celebrare una messa nera… Dopo quel sulfureo inizio, la tempesta continua con gemme come Fairies Wear Boots, psichedelica satira dei primi skinhead o la sinistra, splendida The Hand of Doom, alternate a classici immancabili come Into the Void e Children of the Grave, con immagini apocalittiche di un futuro prossimo venturo compromesso da inquinamento e guerre, la sfuriata pacifista di War Pigs, la fantascienza di Iron Man, fino all’immancabile bis con Paranoid, a suggellare the End of the End of the End…
Ne risulta un film/concerto/documentario insieme affascinante e discutibile.
Affascinante perché alle riprese del live, eseguito con precisione e potenza dai tre grandi vecchi più Tommy Clufetos alla batteria e il figlio d’arte Adam Wakeman alle tastiere, il regista, il veterano documentarista rock Dick Carruthers, affianca le interviste a Osbourne, Iommi e Butler, felici di riscoprire un cameratismo e un’amicizia messi a dura prova dagli eccessi degli anni ’70. Inoltre inserisce preziosi intermezzi in sala prove, dove il gruppo esegue in scioltezza chicche come The Wizard, Wicked World e una toccante, malinconica Changes. Le interviste permettono di approfondire le personalità dei tre: Butler, orgoglioso dell’eclettismo e dell’attualità dei propri testi e ultratifoso dell’Aston Villa, Ozzy, sempre in bilico tra madman e joker, che afferma candidamente: “Non sono tanto un cantante, quanto un frontman, adoro incitare il pubblico”, Iommi, un gentleman ottocentesco dalla battuta sempre pronta e dalla volontà ferrea.
Discutibile perché Carruthers mette un po’ troppa carne al fuoco e soprattutto perché i frammenti di intervista vengono inseriti nel cuore del concerto, dentro le canzoni, ogni volta che parte un assolo di chitarra, rendendo l’ascolto ansiogeno e interruptus. Scelta inspiegabile, ma pare che nel dvd musica e interviste saranno nettamente divise. Per fortuna.
Nell’insieme, The End of the End resta un film essenziale per i fan dei Black Sabbath ma anche per chiunque voglia ripercorrere le origini di un filone fondamentale del rock, e, perché no, contemplare la malinconica dignità del tramonto di tre grandi metallari fieri di quanto hanno inventato.
Dopo i titoli di coda, sulle note di Electric Funeral, è consigliabile restare in sala per gustarsi altri frammenti di intervista e soprattutto ulteriori classici eseguiti dal vivo: N.I.B., Behind the Wall of Sleep e una spettacolare Dirty Women in cui un per una volta indemoniato Iommi produce più assoli che nel resto del concerto (e senza interruzioni o sovrapposizioni…).
(Manlio Benigni)