Portare la spesa nella difesa al 5% del Pil entro il 2035 potrebbe avere conseguenze importanti sulla vita dei cittadini europei
L’impegno preso dai Paesi Nato per aumentare la spesa nella difesa ad almeno il 5% del Pil entro il 2035 potrebbe avere un impatto non trascurabile sulla vita dei cittadini di diversi Paesi Ue, tra cui l’Italia.
Infatti, come ricorda Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «è molto probabile che l’attuazione di questo impegno vada a discapito di altre spese dello Stato, tra cui quelle destinate al welfare, soprattutto in termini reali più che nominali. A meno che non vi sia un tasso di crescita dell’economia così significativo da consentire di avere maggiori risorse pubbliche a disposizione da destinare alla difesa così da non tagliare il welfare».
Non vede anche il rischio che per raggiungere il traguardo decennale di aumento della spesa si finisca per acquistare armi e mezzi militari dall’estero?
Se queste spese fossero indirizzate ad acquisti dall’estero, in particolare dagli Stati Uniti, alla fine avremmo un danno doppio. Oltre a quanto detto sul rischio per il welfare, infatti, non si avrebbero nemmeno delle ricadute in termini di Pil, occupazione, investimenti in ricerca con possibili applicazioni in ambito civile che potrebbero esserci utilizzando gli investimenti per la difesa all’interno dei confini nazionali. Si finirebbe, in buona sostanza, per “regalare” Pil e occupazione a qualche altro Paese. Mi auguri, quindi, che l’aumento della spesa italiana per la difesa possa essere a favore di aziende italiane.
È plausibile pensare che dopo l’accordo siglato al vertice Nato si possa raggiungere rapidamente un’intesa sui dazi tra Usa e Ue, magari con tariffe al 10%?
Se così fosse finiremmo per ritenere come un benefit il fatto di ricevere dagli Stati Uniti un calcio ben assestato su un solo stinco anziché su entrambi. Una situazione che peggiorerebbe nel caso si finisse persino per utilizzare la maggior spesa nella difesa dei Paesi Nato dell’Ue a beneficio dell’industria bellica americana.
Ritiene che si potrà raggiungere un accordo positivo per l’Ue sui dazi?
Non positivo nel senso migliore del termine, ovvero con dazi zero. Detto questo può darsi che alla fine Trump decida di non calcare troppa la mano con le tariffe nei confronti dell’Ue, dal momento che queste hanno comunque delle conseguenze sulla domanda interna e sul livello dei prezzi negli Stati Uniti.
Mentre era in corso il vertice Nato, la Commissione europea è intervenuta sul quadro degli aiuti di Stato facilitando quelli sull’energia, dai sussidi per le bollette delle imprese energivore alla costruzione di nuovi reattori impianti nucleari. Non c’è il rischio di aumentare le divergenze tra i Paesi Ue, visto che non tutti hanno lo stesso spazio fiscale per varare aiuti di Stato?
Penso che la convergenza sia un elemento essenziale per cercare di realizzare un progetto comune europeo e che essa vada misurata tramite il tenore di vita dei cittadini. Dunque, tutto quello che amplia le differenze nel livello di tenore di vita dei cittadini dei vari Paesi europei andrebbe rimosso. Anzi, bisognerebbe introdurre un vincolo alle politiche monetarie e fiscali europee: andrebbero attuate solo quelle che possono aumentare la convergenza e diminuire le disuguaglianze tra Paesi membri.
Bisognerebbe, allora, rivedere le regole del Patto di stabilità che sono state da poco riformate…
Certamente. Sappiamo che queste regole non portano a una maggior convergenza. Se i Paesi si allontanano mediamente l’uno dell’altro ci troviamo di fronte alla negazione di quel che dovrebbe significare Unione europea.
(Lorenzo Torrisi)
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