Omicidio Yara Gambirasio, le teorie del complotto sulla condanna di Massimo Bossetti: dal Dna "inquinato" alle manipolazioni, è un capro espiatorio?

Nonostante la condanna di Massimo Bossetti sia definitiva e frutto di un lungo e complesso iter giudiziario, si sono diffuse diverse teorie del complotto sull’omicidio Yara Gambirasio. Una riguarda il DNA, perché l’ex muratore di Mapello, recentemente a Belve Crime, ha dichiarato di voler capire come sia possibile che sia stato trovato sugli slip della ragazzina.



La teoria alternativa è che il DNA trovato sugli indumenti della vittima sia stato contaminato, manipolato o mal interpretato. Ad alimentarle è anche il fatto che il DNA mitocondriale individuato non corrisponderebbe perfettamente a quello di Bossetti, mentre quello nucleare sì.

Ma quest’ultimo ha un valore probatorio di gran lunga superiore a quello mitocondriale, quindi le ipotesi di contaminazione sono state considerate infondate dalle corti.



Yara Gambirasio (Foto: web)

MASSIMO BOSSETTI CAPRO ESPIATORIO?

Ci sono poi complottisti che sostengono il coinvolgimento di un’altra persona: Massimo Bossetti sarebbe quindi un capro espiatorio, ma nessuna prova concreta è mai emersa a supporto di questa ipotesi. A ciò si aggiunge il giallo delle intercettazioni mancanti: qualcuno sostiene che siano state omesse o ignorate perché avrebbero potuto scagionare Bossetti o indirizzare altrove le indagini, ma le autorità giudiziarie hanno stabilito che tutte le prove rilevanti sono state messe a disposizione del processo.

OMICIDIO YARA GAMBIRASIO, IL “PROCESSO MEDIATICO”

Il movente, mai chiarito, è un altro elemento che viene tirato in ballo per mettere in dubbio la colpevolezza di Massimo Bossetti, ma la giurisprudenza non richiede che esso sia necessariamente accertato, purché vi siano prove sufficienti. Infine, tra le teorie del complotto ve n’è una che accusa i media di aver influenzato l’opinione pubblica e la magistratura, dipingendo Massimo Bossetti come colpevole sin da subito.



Secondo tale ipotesi, il processo mediatico avrebbe creato un pregiudizio tale da rendere difficile una valutazione obiettiva. Tuttavia, i tre gradi di giudizio in Italia sono indipendenti e si basano su prove depositate, non sull’opinione pubblica.