Nelle passate settimane molto si è parlato su tutti i media di quali sono i migliori ospedali italiani. L’occasione per farlo è venuta dalla pubblicazione da parte di Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) del Rapporto 2024 relativo al Programma Nazionale Esiti (PNE), che realizza il monitoraggio delle performance assistenziali degli ospedali italiani pubblici e privati accreditati (1.363 ne sono stati valutati nel rapporto più recente riferito ai dati di ricovero del 2023).
Il PNE, come si legge nella presentazione firmata dal presidente dell’Agenzia, “si propone, da un lato, di fornire a livello nazionale valutazioni comparative di efficacia, sicurezza, appropriatezza e qualità delle cure erogate nell’ambito dell’SSN, e dall’altro di mettere a disposizione strumenti a supporto di attività di audit clinico-organizzativo, finalizzate al miglioramento della qualità”. Il PNE, si legge sempre nella presentazione, “non ha l’obiettivo di produrre classifiche, bensì quello di promuovere la discussione e il confronto con i professionisti, nell’ottica di evidenziare gli sforzi di miglioramento”, ma di fatto da qualche anno, vuoi per le metodologie adottate, vuoi per l’enfasi nella presentazione pubblica del Rapporto, o vuoi anche per le tipiche distorsioni informative introdotte dai media alla ricerca della notizia che colpisce, il PNE finisce con l’essere di fatto una classifica degli ospedali, almeno per le valutazioni considerate migliori: l’Azienda Ospedaliera Careggi di Firenze, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche di Ancona, l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano), secondo l’ultimo Rapporto.
Volendo entrare nel merito della valutazione ci sarebbero molte cose da dire, a cominciare dal fatto che non è chiaro il criterio che ha generato la classifica stessa, ma chi scrive (che è favorevole alle valutazioni) ritiene che la strada che il PNE ha imboccato di fatto, orientata ad individuare le strutture migliori, sia una strada sbagliata: le classifiche fanno notizia, “titillano la papilla” dell’informazione e accendono la polemica (soprattutto politica) di basso profilo, ma non migliorano le performance delle strutture. Il messaggio principale che il rapporto manda, infatti, è ben più rilevante che non quello di sapere che secondo un certo approccio la migliore performance è stata quella dell’ospedale x piuttosto che dell’ospedale y: ciò che meraviglia di più è la variabilità che si osserva negli esiti di cura delle diverse strutture per lo stesso problema (o intervento) sanitario.
E proprio con l’intenzione di non assecondare l’approccio “a classifica” veicolato da Agenas ma volendo esemplificare in cosa consiste la enorme variabilità riscontrata negli esiti delle cure, nel seguito vengono presentati (a solo titolo di esempio) i risultati separati per regione/provincia relativi ad alcuni dei tanti indicatori valutati da Agenas, non senza prima ricordare che la variabilità tra ospedali è ben superiore a quella che si osserva tra le regioni/province, considerato che il dato regionale/provinciale è frutto della media tra i valori dei singoli ospedali che sono localizzati in quel territorio. Tutti i dati si riferiscono alle dimissioni ospedaliere registrate in tutta Italia nel 2023 e le elaborazioni (e rappresentazioni grafiche) sono state scaricate dal sito web dell’Agenzia.
Il primo indicatore riguarda le fratture del collo del femore in soggetti con 65+ anni e calcola la percentuale di casi in cui l’intervento chirurgico è stato effettuato entro 48 ore. La notizia positiva ci dice che la percentuale complessiva di interventi tempestivi sta aumentando nel tempo, ma l’altra faccia della medaglia segnala che molte (troppe) strutture non superano l’asticella fissata dal DM 70. Si registra poi una elevata variabilità territoriale, sia tra regioni ma anche entro regione (figura 1). Ottima è la performance della provincia di Trento, ma vanno bene anche il Veneto, le Marche, la provincia di Bari, il sud della Sicilia e la città di Roma. Particolarmente critica è la situazione in Sardegna (nessuna struttura supera i valori soglia), ma non raggiungono lo standard anche Valle d’Aosta, Liguria, Umbria e Basilicata. Le situazioni meno performanti si trovano in provincia di Frosinone ed in quella di Crotone.
Figura 1. Frattura del collo del femore in pazienti di 65+ anni: percentuale di intervento chirurgico entro 48 ore. Anno 2023. Fonte: Agenas, 2024.
Esemplare di cosa sia una inaccettabilità territoriale è la situazione dei parti cesarei primari, che non solo presenta un evidente andamento Nord-Sud (pochissime sono le province del Centro-Sud dove la proporzione di parti cesarei primari è bassa), ma anche una forte diversificazione tra strutture pubbliche e private accreditate, queste ultime non presenti in tutte le regioni (figura 2).
Figura 2. Percentuale di parti con taglio cesareo primario, in strutture pubbliche e private accreditate. Anno 2023. Fonte: Agenas, 2024.
Un terzo esempio, anch’esso paradigmatico della grande variabilità geografica che si riscontra nell’esito delle cure, è la percentuale di decessi a 30 giorni da un episodio di ictus ischemico. Ancora una volta l’Italia risulta divisa in due: dal Lazio in giù si contano sulle dita di una mano le province che sulla mappa (Figura 3) risultano colorate in verde in quanto la percentuale di decessi è bassa, mentre sono numerose le aree colorate in arancione o addirittura in rosso (elevata percentuale di decessi). In rosso (cioè cattiva performance) sono da segnalare anche le province di La Spezia e Verbania, situate nel Nord del Paese.
Figura 3. Percentuale di mortalità a 30 giorni da un ictus ischemico. Anno 2023. Fonte: Agenas, 2024.
Gli ultimi due indicatori che esaminiamo hanno sempre a che fare con gli esiti delle cure ma sono letti secondo un’altra prospettiva, in quanto si tratta di segnali di quella che viene identificata con il termine di ospedalizzazione evitabile, cioè di eventi di ricovero che potrebbero essere evitati con una adeguata assistenza territoriale: la broncopatia cronica ostruttiva (BPCO) e le complicanze a breve e lungo termine del diabete.
La Figura 4 presenta i tassi di ospedalizzazione per regione per la BPCO: diversamente dagli esempi precedenti, non si osserva un gradiente geografico Nord-Sud perché in tutte le aree vi sono regioni con buone performance (bassi ricoveri) ed altre con performance superiori alla media, però se si osserva la variabilità entro regione (e cioè la grandezza delle barre della figura) si vede che le regioni del Centro e del Sud del Paese mostrano maggiore eterogeneità interna rispetto a quelle del Nord, segnale che le differenze di performance tra i diversi ospedali di queste regioni sono molto più accentuate.
Figura 4. Ospedalizzazione evitabile. Tassi di ospedalizzazione per broncopatia cronica ostruttiva (BPCO), per regione in Italia. Anno 2023. Fonte: Agenas, 2024.
L’ultimo esempio riguarda i ricoveri per le complicanze a breve e lungo termine del diabete (Figura 5). Anche per questi eventi non si osserva un chiaro gradiente Nord-Sud però si deve segnalare che le performance degli ospedali del Sud sono più omogenee sia tra diverse regioni che all’interno delle singole regioni. La maggiore variabilità tra le regioni si registra al Nord, mentre al Centro è elevata l’eterogeneità delle performance entro le singole regioni.
Figura 5. Ospedalizzazione evitabile. Tassi di ospedalizzazione per complicanze a breve e lungo termine da diabete, per regione in Italia. Anno 2023. Fonte: Agenas, 2024.
Quelli proposti non sono esempi scelti a puntino per sostenere una tesi a priori, ma si tratta di quasi tutte le informazioni messe a disposizione da Agenas nel documento citato. Al di là del gradiente Nord-Sud che si presenta ormai quasi sistematicamente ogni volta che si misurano le performance sanitarie delle regioni, colpisce nei casi esaminati soprattutto la grande eterogeneità di risultati sia tra le regioni che entro regioni. Si tratta di una eterogeneità dovuta alle differenze di performance dei singoli ospedali localizzati nelle diverse province e regioni, qui esaminate con logica territoriale proprio per evitare di indurre il lettore ad andare alla ricerca di qualche classifica degli ospedali.
Le differenze riscontrate, e quelle molto più numerose che si trovano nel rapporto di Agenas che propone i risultati per singola struttura, sono la dimostrazione di quanto il principio di uguaglianza, chiamato in causa (insieme a quelli di universalità ed equità) ogni volta che si ricorda il diritto alla tutela della salute reclamato dalla Costituzione, sia totalmente disatteso e di come l’esito delle cure sia invece largamente dipendente dal territorio in cui la cura viene erogata. Non solo, ma le elevate eterogeneità che esistono anche entro regione informano che le diversità di esito dipendono più dalle performance dei singoli ospedali che non dai modelli di sanità scelti dalle diverse regioni.
Ormai da diversi anni il PNE produce queste informazioni sulle diversità di esito delle cure ospedaliere, ed è quindi da diversi anni che la valutazione delle performance evidenzia che molte strutture fanno cattivi risultati. Viene allora naturale chiedersi cosa succede dopo queste valutazioni: che fine fanno gli ospedali che vanno male? vengono attivati dei percorsi (di audit, ad esempio) per comprendere le (ed intervenire sulle) cause delle cattive performance? si osservano nel tempo dei miglioramenti delle prestazioni? vengono eventualmente chiusi o indirizzati verso altre attività gli ospedali che perseverano nel tempo a presentare performance non accettabili? L’analisi nel tempo di molti indicatori dice che miglioramenti (anche se piuttosto lenti) si stanno osservando, ma la strada verso migliori performance e una maggiore omogeneità territoriale degli esiti delle cure appare ancora piuttosto lunga e tortuosa.
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