Gli ucraini pregavano al passaggio delle opere sacre da nascondere per proteggerle dalla guerra. Al corte funebre del papa, invece, solo selfie
Caro direttore,
la tristezza per la morte del Papa è stata un po’ alleviata dalle immagini del suo funerale. Checché se ne pensi, è stato un riconoscimento globale dell’autorevolezza della Chiesa. Tutto vero. Ma…
Sono rimasto scioccato dal corteo funebre che è seguito. Mi spiego meglio. Nel percorso da San Pietro a Santa Maria Maggiore (la sua tomba) ho visto una folla immensa ma nessuno che si inginocchiasse e pregasse. Tutti col cellulare in mano a riprendere quelle immagini o a farsi un selfie al passaggio della bara.
Collego queste immagini ad altre: all’inizio della guerra Russia-Ucraina, gli ucraini decisero di trasferire alcune opere sacre in un rifugio segreto. Il video che mi pervenne (non fui certo l’unico a riceverlo) mi commosse: lungo tutto il percorso del convoglio che attraversava i paesini della pianura si vedevano – a bordo strada – persone in ginocchio. Giovani, adulti e anziani senza distinzione, in silenzio o in preghiera.
È evidente il contrasto tra le due immagini. Mi si dirà che i contesti sono diversi: l’uno è un popolo aggredito che vuole proteggere i simboli della propria fede, l’altro un popolo che saluta il suo Papa. Vero. Vero anche che nel popolo romano vi erano fedeli, curiosi, turisti o semplici persone che assistevano a un evento raro, intenti a documentare un evento raro a cui si assisteva in prima persona.
Lascio ad altri più autorevoli – se vorranno – riflessioni più approfondite, ma consentitemi qualche pensiero.
Lungi da me giudicare (Francesco avrebbe detto “Chi sono io per giudicare?”) ma non può non saltare all’occhio la differenza abissale tra i due atteggiamenti. In Ucraina è un atteggiamento di preghiera e memoria che la consistenza personale e collettiva sta in ciò che quei simboli rappresentano, a Roma di questo rimane solo un vago riconoscimento. Il tutto obnubilato dallo “snervante comodo della vita moderna” (McIntyre) e dalla società dei selfie e whatsapp.
Sotto sotto, qualcuno direbbe, è un problema di fede. Vero, ma se anche il mio compaesano – udite, udite – Flavio Briatore, mica un teologo, si è scandalizzato, tanto da lanciare anatemi via social, la cosa diventa interessante. Altri lo spiegheranno meglio, ma secondo me è l’incapacità/fragilità dell’uomo moderno occidentale a stare davanti alla realtà o, meglio, al Mistero, pensando di catturare il momento con un video. È il peccato originale in versione 2.0.
Per altro, pensandoci bene, è ciò che vediamo spesso quando ai battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni tutti cercano di catturare un’immagine anziché vivere quel momento per quello che è: il Mistero che si fa vicino all’uomo.
In ogni caso, perdonate l’insistenza, la differenza nei gesti, nelle forme e sostanza tra i due eventi è abissale.
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