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Home » Chiesa » PAPA/ Rosario per la pace, il senso di un “viaggio” nel Mistero cristiano

  • Chiesa
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PAPA/ Rosario per la pace, il senso di un “viaggio” nel Mistero cristiano

Danilo Zardin
Pubblicato 9 Ottobre 2025
Papa Leone XIV (Ansa)

Papa Leone XIV (Ansa)

Papa Leone XIV ha invitato i cattolici alla recita quotidiana del rosario in ottobre per chiedere la pace. Senso e storia di questa preghiera cristiana

Senza il cambiamento degli uomini, non ci può essere l’inizio di una pace vera. Per questo Papa Leone XIV ha invitato ciascuno di noi in prima persona a intensificare la preghiera per la pace con la recita del Rosario per tutti i giorni del mese di ottobre. Il prossimo sabato, 11 ottobre, presiederà in piazza San Pietro una veglia dedicata al medesimo scopo, cui hanno aderito concordi i movimenti e le associazioni cattoliche.


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Ѐ la conferma eloquente che il Rosario resta al centro delle forme di espressione della fede cristiana. Viene da una storia vecchia di più di cinque secoli. Ma non è il relitto di un sentimento religioso ancorato agli schemi di un passato che stenta a lasciarsi dissolvere.

La sua elementare impalcatura, basata sull’umile ripetizione ritmata di formule fisse facili da memorizzare, custodisce una ricchezza preziosa, meritevole di essere salvaguardata con intelligente cura premurosa.


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L’assetto in pratica definitivo di questo tradizionale esercizio di manifestazione dell’attaccamento ai nodi costitutivi della storia della salvezza fu elaborato nella seconda metà del Quattrocento: su impulso specialmente dell’ordine domenicano, a partire dalle terre franco-germaniche della cristianità del centro Europa.

Da lì si è gradualmente innestato nel patrimonio delle forme di pietà del cristianesimo di matrice latina del Vecchio Mondo, per poi diffondersi nei diversi contesti di civiltà raggiunti a seguito dell’espansione missionaria dei tempi moderni.

Nel corso del tempo, i ritocchi sono stati minimi. L’ostinata continuità, unita alla capillare disseminazione planetaria della devozione, spiega la straripante abbondanza delle riflessioni che gli uomini di Chiesa hanno intessuto sui significati, le implicazioni e i modi più opportuni per coltivare la fedeltà al gesto della recita della corona del Rosario, con tutte le sue possibili varianti: recita continua o spezzata, individuale o comunitaria, a cori alternati, con intermezzi meditativi, silenziosa o sostenuta da melodie musicali, solo mentale, oppure appoggiata ai supporti visivi delle immagini.


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Dai primi promotori del radicamento della nuova forma di pietà mariana fino ai grandi autori che se ne sono occupati sul filo dei secoli, da Luis de Granada fino a Louis-Marie Grignion de Montfort, per arrivare a interpreti contemporanei come (per citare un solo nome fra tutti) Hans Urs von Balthasar, si distende un fiume imponente di richiami, di istruzioni, di regole, di testi di aiuto, da cui si può estrarre ancora oggi ben più che qualche vago frammento di lezione: tutto, ovviamente, da ripensare alla luce delle sensibilità, dei punti di vista e delle esigenze che si sono affacciati sulla scena delle condizioni attuali del nostro esistere.

L’elemento decisivo credo sia da individuare nel riconoscimento che la tradizione della preghiera del Rosario non può essere poveramente ridotta a una pratica autoassicurativa: accumulare atti esteriori di omaggio formale al primato del mistero divino, per ottenere in contraccambio la soddisfazione di una richiesta di aiuto, di protezione materiale, l’esaudimento di una necessità propria o in casi diversi estesa alla rete delle relazioni di cui ci si concepisce parte integrante.

La dimensione dell’intercessione – appellarsi all’amore misericordioso di Maria per ottenere l’adeguamento della potenza divina alle proprie aspettative, comprese le più fondate e perfettamente legittime – è da intendere come una ricaduta circolare, non come il presupposto. Prima viene la gratuità del mettersi in dialogo con l’enormemente Altro che ci sta di fronte.

E il dialogo mira, al di là della ricerca di ogni altro appiglio di sostegno, a cementare l’intensità di una implicazione di dipendenza, il senso di una comunione da stringere anche in termini di coinvolgimento affettivo del cuore e della mente dell’io.

Dettaglio di un rosario nel giorno dell’Assunzione, Parigi, 15 agosto 2025 (Ansa)

Fin dal suo inizio, infatti, la devozione del Rosario mariano si è configurata come una sintesi riassuntiva della storia dei rapporti tra l’uomo e il divino, concentrata sull’evento insuperabile della discesa del Figlio nella realtà della carne terrena: quel vertiginoso inabissamento attraverso cui il Tutto dell’Eterno infinito si è lasciato rinchiudere nel limite angusto di una provvisoria esistenza umana, e partendo da qui si è consegnato al compito di assumere su di sé il male della massima distanza, del rifiuto estremo del legame con il Padre della vita e creatore dell’universo, per poter riconsegnare il tutto del destino umano all’abbraccio di Dio e riaprire così la possibilità dell’accesso a una rigenerazione dell’umano fin dalle sue fondamenta, l’approdo a una vita per sempre risorta.

La fitta successione delle Avemaria che fanno da corona di offerte ripetute alla Vergine madre di Cristo (simbolicamente: offerte floreali, offerte di rose disposte in serie, legate fra loro) ha il compito primario di segnare la strada per una rivisitazione ogni volta rinnovata, dal suo inizio al vertice finale, della catena di avvenimenti in forza dei quali, nella logica della fede cristiana, è stato ribaltato il senso della storia del cosmo.

Solo entrando sempre di più nella densità di una immedesimazione con questa storia, invocando a più riprese di entrare nella prospettiva a cui questo genere di relazione introduce; pregando, insistendo, provando e riprovando, senza fermarsi mai, anche dopo ogni caduta, oltre ogni dimenticanza e ogni sviamento, può fiorire e prendere forma l’esperienza di una appartenenza.

Può maturare come frutto la coscienza di essere una cosa sola con il Principio da cui si attende tutto il bene per sé. Ed è solo dall’interno di questa simbiosi di destino che prende pieno significato anche la richiesta di compassione, la supplica insistente per ottenere quei soccorsi dall’alto che possono integrare la modestia delle nostre precarie risorse limitate.

Ripercorrendo la parabola dei misteri del santo Rosario, si possono individuare almeno tre movimenti essenziali in cui si viene sollecitati a implicarsi in prima persona; movimenti che poi si intrecciano e si alimentano a vicenda tra loro.

Il primo è il movimento della chiamata. C’è un invito che viene rivolto alla creatura umana: scatta una iniziativa, si sprigiona una grazia che ci precede e ci interpella, attraverso incontri e fatti concreti che segnano l’esperienza del vivere.

In modo esemplare, questa è stata la chiamata con cui l’angelo ha provocato la libertà di Maria a Nazaret: lei ha saputo reagire pronunciando il suo sì di fiduciosa adesione. Ma lo scatto del consenso dell’io è la molla decisiva di ogni passo dell’avventura cristiana che si distende nel tempo. A ciascuno è chiesto di farlo sempre più suo.

Poi si impone il movimento in senso contrario della risposta di offerta: Maria che corre dalla cugina Elisabetta, la nascita, il sacrificio di fare spazio al figlio cresciuto nell’orbita dell’antica legge, destinato a proiettarsi verso la consegna totale di sé fino al compimento del disegno di redenzione dell’umanità intera.

Si viene accompagnati fino a essere rimessi ai piedi della croce del Golgota: il culmine del dono, che può diventare anche il paradigma dello spendersi in una dedizione di carità che non ci espropria del nostro io, ma lo risolleva alla sua vocazione più alta.

Infatti il dramma divino e umano della redenzione sfocia nel momento conclusivo della glorificazione. Cristo ascende alla pienezza della comunione con il Padre. Maria è assunta in cielo. La vita ritrova la pienezza del suo riposo autentico, il pieno esaudimento del bisogno che ne costituisce la stoffa primordiale, il nocciolo della vera essenza.

Ѐ l’invito perentorio a non trascurare questo destino di bene come meta per sé, anzi per tutti i fratelli uomini. Rimanda a una supplica che può diventare l’oggetto supremo del proprio grido nascosto: dentro ogni passo, ogni minimo gesto del nostro barcollante camminare a tentoni, soprattutto là dove sembra vacillare, fino ad affievolirsi pericolosamente, la luce della speranza.

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