Una recente Ordinanza della Cassazione sul patto di prova può essere molto utile per imprese e lavoratori

Con Ordinanza del 9 giugno 2025, n. 15326, la Corte Suprema di Cassazione ha precisato ulteriormente i principi fondamentali in materia di patto di prova, richiamando l’attenzione di aziende e lavoratori sulla necessaria specificità dell’indicazione delle mansioni nel patto.

Il caso esaminato dalla Corte Suprema riguardava una lavoratrice che, licenziata da una cooperativa sociale per mancato superamento del periodo di prova, aveva contestato il recesso datoriale lamentando “la non corrispondenza delle mansioni indicate nel contratto di assunzione … ai profili professionali” previsti nel contratto collettivo applicato.



Prima però di addentrarci nel merito della vicenda, è necessario fornire qualche elemento utile per orientarci nella comprensione della questione. Il patto di prova è un elemento accessorio ed eventuale (anche se utilizzato con grandissima frequenza) del contratto di lavoro la cui funzione risiede “nella tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro“.



Il periodo di prova, da un lato, permette al datore di lavoro di valutare le capacità professionali del dipendente in relazione alle mansioni affidategli; dall’altro, consente al lavoratore di verificare l’adeguatezza del lavoro alle proprie aspettative e attitudini.

Il patto di prova può presentare due tipologie di criticità che generano conseguenze diverse. Una prima tipologia è costituita dalle c.d. “anomalie funzionali“, che non pregiudicano la validità del patto, ma determinano la sola illegittimità del recesso. È questo il caso, ad esempio, dell’assegnazione, in concreto, di mansioni diverse da quelle indicate nella clausola accessoria. In una simile ipotesi il lavoratore che impugni la cessazione ha diritto (ove possibile) alla prosecuzione dell’esperimento, ovvero al ristoro del pregiudizio sofferto.



La seconda tipologia è invece rappresentata dalle c.d. “anomalie genetiche“, che attengono invece alla “nascita” del patto di prova e ne determinano addirittura la nullità, con conseguente invalidità del licenziamento intimato per mancato superamento della prova. Rientra in questa seconda categoria la mancata specificazione nel patto delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto. La specificità dell’indicazione delle mansioni è quindi estremamente importante.

Entrando adesso nel vivo della vicenda, la Suprema Corte si è trovata a esaminare un caso in cui il contratto di assunzione della lavoratrice indicava le mansioni di “operatrice di contact center e di back office” e il suo inquadramento era nel profilo professionale C1, con riferimento specifico a quello di “operatore tecnico dell’assistenza“.

Per la migliore comprensione del caso occorre precisare che il Ccnl Cooperative Sociali del 21 maggio 2019 articola il personale in sei categorie, ciascuna definita da “declaratorie” che descrivono i “requisiti indispensabili per l’inquadramento … corrispondenti a livelli omogenei di conoscenze, competenze e capacità necessarie per l’espletamento delle relative attività lavorative” e da profili professionali “individuati a titolo esemplificativo” che dettagliano le varie posizioni ricomprese nella categoria.

Tra le sei categorie, quella individuata dalla lettera C è in particolare dedicata al “Lavoro specializzato, [e ai] servizi qualificati alla persona in ambito socio-assistenziale, socio-sanitario” e include nel profilo professionale C1 diverse figure, tra cui l'”operatrice/ore tecnico dell’assistenza“.

Confrontando le norme del contratto collettivo con la descrizione delle mansioni contenute nel patto di prova oggetto di causa, il Giudice di secondo grado (la Corte d’Appello di Roma) aveva ritenuto che l’indicazione della mansioni contenuta nel contratto di lavoro fosse sufficientemente specifica (evidenziando che “il profilo di “operatore tecnico dell’assistenza” richiama per analogia il ruolo di “operatrice di contact center e di back office”). La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a verificare la legittimità di questa valutazione.

Al riguardo, la Corte Suprema ha osservato che “la specifica indicazione delle mansioni che … costituiscono l’oggetto” del patto di prova e che quest’ultimodeve contenere, può ben essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria (Cass. n. 11722 del 2009; Cass. n. 9597 del 2017; Cass. n. 27785 del 2021; Cass. n. 5264 del 2023)“.

Con specifico riferimento al caso concreto la Cassazione ha quindi osservato che “nel caso di specie, la Corte territoriale, dichiaratamente consapevole di tali principi, ha condiviso col Tribunale l’accertamento circa la specificità dell’indicazione, nel contratto di assunzione della lavoratrice, delle mansioni di operatrice di contact center e di back office con chiara individuazione del suo inquadramento, per il richiamo della contrattazione collettiva applicabile (Ccnl Cooperative sociali) e della categoria di appartenenza (profilo professionale C1), con particolare riferimento a quello di “operatore tecnico dell’assistenza“.

Il richiamo puntuale al Ccnl Cooperative sociali, alla categoria C e in particolare al profilo “operatore tecnico dell’assistenza” è stato quindi considerato pienamente idoneo a identificare con precisione le mansioni oggetto della prova, portando così i giudici (anche di legittimità) a rigettare il ricorso della lavoratrice.

La decisione della Cassazione consolida un orientamento giurisprudenziale che privilegia la chiarezza e la specificità nell’indicazione delle mansioni oggetto del patto di prova. Questa pronuncia rappresenta un importante punto di riferimento per datori di lavoro e lavoratori, sottolineando che la validità del patto di prova dipende (anche) dalla precisa identificazione delle funzioni da svolgere. La decisione comprova inoltre come sia possibile raggiungere la necessaria specificità attraverso un richiamo puntuale alle classificazioni contrattuali, purché questo sia fatto in modo dettagliato e non generico.

L’orientamento della Cassazione invita quindi a prestare particolare attenzione alla redazione dei contratti di assunzione con patto di prova, raccomandando una descrizione precisa delle mansioni al fine di evitare future contestazioni e garantire la validità dell’istituto contrattuale.

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