Sta facendo discutere l’articolo di David Brooks, autorevole firma dell’altrettanto autorevole quotidiano, New York Times, che sulla scia del politicamente corretto “estremo”, tanto di moda in questi ultimi mesi, ha puntato il dito nei confronti delle discriminazione delle persone brutte, il cosiddetto “lookismo“. A riportare il pezzo sono stati i colleghi del Corriere della Sera, sottolineando come la questione venga chiamata in gergo tecnico appunto «lookism», la discriminazione ai danni dei brutti. Brooks, a corroborare la propria tesi, ha citato alcuni studi secondo cui le persone belle hanno maggiori probabilità di essere chiamate ad un colloquio lavorativo, e quindi essere assunte e di fare carriera piuttosto a quelle meno attraenti. Inoltre, sempre i “belli” possono ricevere più prestiti con tassi di interesse più bassi della media.
Una tesi che fa storcere a Matteo Persivale del Corriere, che ricorda come uno degli uomini più ricchi al mondo, Jeff Bezos “non è mai stato scambiato per Jude Law, l’importante però è sottolineare che contro il «lookismo» non c’è al momento rimedio legale, al contrario di quel che accade per quasi tutte le altre forme di discriminazione”. Secondo quanto sostiene Brooks “Gli effetti discriminatori del lookismo sono pervasivi. Una persona poco attraente perde quasi un quarto di milione di dollari di guadagni nel corso della vita rispetto a una attraente”. E ancora: “Una società che celebra la bellezza in modo così ossessivo è destinata a essere un contesto sociale in cui chi è meno bello viene sminuito: l’unica soluzione è quella di cambiare norme e pratiche”.
NYT E LA GUERRA AL LOOKISMO: “VICTORIA’S SECRET UN ESEMPIO”
Brooks ha quindi citato il caso di Victoria’s Secret, reduce da una storica rivoluzione: “Un esempio positivo arriva, bizzarramente, da Victoria’s Secret, che ha sostituito i suoi «angeli» con sette donne con caratteristiche fisiche le più diverse. E se è Victoria’s Secret a rappresentare la punta avanzata della lotta contro il lookism, significa che tutti noi abbiamo parecchio lavoro ancora da fare”.
Persivale ricorda come sia “insensato” e “ingiusto” sostenere che “un piacevole aspetto fisico sia indicativo di altre caratteristiche, le persone razionali sanno che i belli non sono più intelligenti, non sono più buoni, eccetera”, e inoltre, legiferare in tale materia diverrebbe “complicato”. Quindi il collega del Corriere della Sera conclude citando l’immenso artista Andy Warhol: “Diceva che in futuro saremo tutti famosi per 15 minuti. Ma prevedere che saremo tutti belli per 15 minuti sarebbe stato troppo anche per lui”.