Il bilancio a oggi è sicuramente positivo. Carlo Calenda è riuscito a smuovere le acque fin troppo stagnanti dell’interminabile congresso del Pd. La sua proposta di lista unitaria del fronte europeista alle imminenti elezioni di maggio ha raccolto la disponibilità sia di Zingaretti che di Martina, i due più probabili vincitori della corsa a segretario che si concluderà il 3 marzo.
A dire il vero la posizione di Maurizio Martina era all’inizio molto critica, soprattutto nei confronti della possibilità di dover rinunciare al simbolo di partito. Molto più aperta al confronto è apparsa sin da subito la posizione di Zingaretti, anche perché era stato proprio il presidente del Lazio a offrire qualche giorno prima il ruolo di capolista alle europee allo stesso Calenda. Chi, nervosamente, ha fatto sapere di non essere per niente d’accordo è stato il gruppo di Roberto Giachetti. L’enclave renziana ritiene infatti la proposta dell’ex ministro dello Sviluppo economico dei governi Renzi e Gentiloni, troppo annacquata e con obiettivi volutamente generici, fino al punto di essere tacciata di sospetta collusione con gli storici nemici del loro capo toscano, i D’Alema e i Bersani.
In altre parole il gruppo dei renziani Doc – che va detto, hanno eroso nelle convenzioni in svolgimento nei circoli in questi giorni importanti pacchetti di voti al gruppo Martina, Richetti, Delrio – rivolge esplicitamente a Calenda la critica di essere di fatto un cavallo di Troia, lo strumento inconsapevole per ricompattare il vecchio Pd con la sinistra fuoriuscita durante gli anni del renzismo.
Intanto il “manifesto” proposto in rete da Calenda – intriso di sano europeismo e fondato sulla convinzione che l’Italia non può uscire dal novero dei grandi paesi pilastri dell’Unione – ha superato le 62mila adesioni, che di questi tempi non è proprio poco, e in ogni caso non possono essere considerati “quattro sfigati”, come maldestramente ha tentato di dipingerli la redazione del Fatto Quotidiano.
Unica voce fuori dal coro è quella di Enrico Letta. In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, intitolato Ho imparato, l’ex premier passato a dirigere l’Istituto Sciences Po a Parigi ha espresso i suoi dubbi sull’efficacia elettorale di un listone unico con dentro tutto gli anti-populisti. È arrivato addirittura a definirlo “un favore ai sovranisti”. La sua tesi è che il fronte pro-Europa è ancora troppo lacerato per non rischiare di lasciare senza rappresentanza i voti di chi non accetta repentine mediazioni politiche e culturali.
“L’operazione Calenda” si presenta quindi come uno dei nodi che il prossimo congresso del Pd dovrà sciogliere. Zingaretti sembra non avere dubbi, la soluzione unitaria gli consente di scavalcare con maggior serenità l’ostacolo ravvicinato delle elezioni europee e soprattutto di puntare a far emergere la probabile sconfitta dei 5 Stelle, in balia di un leader che non trova di meglio che iniziare una strampalata guerra diplomatica alla Francia. L’inevitabile trionfo di Matteo Salvini alle europee dovrebbe sancire così la fine di questa maggioranza e invogliare il leader leghista a fare da solo, recuperando in un nuovo governo i resti di Forza Italia, di Fratelli d’Italia e gli spezzoni vari del centrodestra, rimasti fuori dal “governo del contratto”.
In questo modo il futuro neo segretario del Pd potrebbe portare a casa, in poche settimane, due risultati davvero insperati: spingere i 5 Stelle all’opposizione e ridurre praticamente a zero lo spazio di manovra del sempre più isolato Matteo Renzi.