Dopo la sconfitta al referendum a sinistra c'è chi propone di eliminare la soglia del 50%+1 degli aventi diritto. L'ennesima deriva antidemocratica
Fallita la campagna “battiquorum” è subito iniziata quella “bastaquorum” (è una delle tante url rilanciate ieri in rete). Fra i molti boomerang che il fronte referendario perdente deve affrontare c’è anche il preannuncio – da parte della maggioranza di destra-centro – della proposta di raddoppio a un milione delle firme necessarie per chiedere una consultazione popolare abrogativa.
Di qui un tentativo di controffensiva alla fine elementare: abbattere il quorum che ha impedito all’opposizione di potersi dichiarare formalmente vincitrice l’altra sera. Avrebbe voluto esserlo per il solo fatto di aver promosso un referendum voluto da 500mila italiani: anche se alle urne si sono poi recati meno di un elettore italiano su tre e il quesito sulla cittadinanza ha certificato che meno di un italiano su quattro è favorevole a una corsia più veloce per gli immigrati. Ma senza quorum questi “elettori doc” avrebbero imposto la loro volontà – con forza abrogativa di legge – agli altri tre quarti di italiani che hanno liberamente scelto di non esercitare il diritto di voto.
Val la pena di annotare le premesse più o meno implicite in una mossa ancor meno che tattica. Premesse che alla fine sono sempre riducibili una sola, la stessa: il centrosinistra italiano – pronto a riconoscere cittadinanza rapida e piena ai migranti – continua invece a non riconoscerla al centrodestra democraticamente designato dagli italiani al governo del Paese. Continua invece a ritenersi in possesso di un diritto morale – una sorta di “golden share” politica – utile a governare anche senza la legittimazione elettorale prevista dalla democrazia costituzionale (ma è già è realmente accaduto dal 2011 al 2022, con la sola parentesi annuale del governo gialloverde Conte 1).
In questa visione il 70% di italiani che non hanno votato sarebbe composto da “nuovi fascisti”, da cittadini “deplorevoli” (copyright Hillary Clinton contro gli elettori di Donald Trump). L’Italia “vera” sarebbe composta dalla minoranza che ha anzitutto inserito una scadenza elettorale estemporanea, diversa dal voto politico o amministrativo su cui si basa la democrazia repubblicana. Un referendum inventato ad hoc dal centrosinistra, fra l’altro per abolire una riforma varata pochi anni prima dallo stesso centrosinistra (peraltro presieduto allora da un non parlamentare, asceso a Palazzo Chigi attraverso una crisi extraparlamentare pilotata dal Quirinale “dem” a guida Giorgio Napolitano, dopo una “non vittoria” del Pd alle politiche precedenti).
E se il centrosinistra non è riuscito a raggiungere il quorum neppure in un voto che assomigliava alle primarie che lanciarono Matteo Renzi, non resta che proseguire nel tentativo di forzare le regole della democrazia.
Su questo sfondo l’insofferenza para-reazionaria per i grandi paletti democratici appare sempre più appannaggio di quelle stesse forze politiche che si dicono quotidianamente investite della missione di difendere la democrazia occidentale da presunte forze “illiberali”.
Fra l’altro, il quorum del 50% +1 di validità per i referendum abrogativi è previsto dall’articolo 75 della Costituzione “più bella del mondo”. Ma evidentemente non più tale quando il centrosinistra non riesce a mobilitare gli italiani.
Già prima del voto di domenica e lunedì è stata comunque rievocata in modo opaco l’era in cui “l’elettore che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco […]. L’elenco di coloro che si astengono dal voto (…) senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese nell’albo comunale. Per il periodo di cinque anni la menzione ‘non ha votato’ è iscritta nei certificati di buona condotta”.
Una norma definita nel 1957 e poi abrogata del tutto nel 1993, all’alba della Seconda Repubblica. Nulla vieta di reintrodurla: ma in un contesto serio e trasparente sotto il profilo politico-istituzionale. Non come svelto correttivo di ingegneria costituzionale giustificato da quell’astensionismo che è diventato una ”emergenza democratica” solo perché il centrosinistra non riesce più a imporsi in un voto nazionale
Nel frattempo l’assedio corrosivo del centrosinistra ai meccanismi democratici ha già prodotto guasti notevoli e visibili. Il “superbonus 110” – approvato dalla maggioranza M5s-Pd post-ribaltone e fonte di frodi estese e di appesantimenti ulteriori nel debito pubblico italiano – è stato gonfiato anche da una regola prevista ad hoc per centinaia di migliaia di sedi di democrazia minima: i condomini. Per approvare un progetto superbonus era sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea in rappresentanza minima di un terzo della proprietà millesimale. Eccola la “democrazia del 33%”: voluta oggi dallo stesso “campo largo” del Conte 2.
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