Il rumor sull'addio di Christine Lagarde alla Bce, smentito da Francoforte, rappresenta comunque un utile spunto di riflessione

La voce di Christine Lagarde in uscita dalla vertice Bce con due anni d’anticipo è stata sparata in homepage dal Financial Times, che ne ha rivelato subito la fonte: il fondatore del World economic forum di Davos, Klaus Schwab. Per quanto quest’ultimo sia oggi un po’ in disgrazia (ha dovuto lasciare da poco il Wef, inseguito anche da accuse di molestie) è un po’ troppo per lasciar cadere il rumor dopo la rituale smentita di Francoforte.



La lettura più piana, a caldo, è quella di un ballon d’essai lanciato dalla Presidente francese in carica della Bce in vista delle future elezioni presidenziali nel suo Paese. Sulla carta il mandato di Emmanuel Macron scade solo fra due anni, ma le probabilità che per l’Eliseo si voti prima stanno aumentando a vista d’occhio, mano a mano che la popolarità del Presidente precipita e la Francia si ritrova sempre più pericolosamente paralizzata, un anno dopo le elezioni anticipate suicide chiamate da Macron dopo la sconfitta all’euro-voto.



A Parigi i candidati per il dopo-Macron corrono già ad allinearsi sotto i riflettori politico-mediatici: dal leader del Rassemblement National, Jordan Bardella (stante al momento l’ineleggibilità di Marine Le Pen), al Premier in carica, il centrista cattolico François Bayrou; dal rampante ministro dell’interno, il gollista Bruno Retailleau, al delfino di Macron, l’ex Premier Gabriel Attal, fino al leader antagonista di La France Insoumise, Jean Luc Melenchon. E in questo parterre le chance di Lagarde appaiono sulla carta tutt’altro che disprezzabili: anche in un contesto eccezionalmente incerto, dentro la Francia, in Europa, sul pianeta.



Lagarde ha un curriculum a cinque stelle. Ha esordito come ministro delle Finanze del presidente Nicolas Sarkozy, dopo una lunga gavetta negli studi legali di Wall Street. È stata Direttore generale del Fondo monetario internazionale negli anni di Barack Obama alla Casa Bianca prima di approdare alla Bce nel 2019: erede di Mario Draghi nel dream team rosa con Ursula von der Leyen al vertice dell’Ue.

Un profilo parecchio tecnocratico, ma non privo di dimensioni politiche definite (il moderatismo liberale ed europeo) che potrebbero quadrare molti cerchi a Parigi: anzitutto rilanciando in chiave pragmatica e non velleitaria il “fronte repubblicano” che Macron aveva tentato – alla fine senza successo – contro l’avanzata della destra lepenista.

L’europeismo di Lagarde – e una sua attenzione costante per le politiche green – potrebbero meritarle l’appoggio della sinistra liberale nel farne una Presidente francese quasi bipartizan e molto istituzionale (nonché organica all’establishment internazionale “di Davos”). Soprattutto: Parigi ritroverebbe una leader di reale levatura europea (quella che Macron ha ormai bruciato e altri candidati sembrano non possedere), quando a Berlino c’è un nuovo Cancelliere, poco sperimentato ma molto aggressivo, e Bruxelles è ancora presidiata dalla merkeliana “Ursula”.

Non da ultimo: in questa fase Parigi ha estremo bisogno di una voce autorevole sul terreno stretto della finanza pubblica. Chi meglio di una Presidente Bce in carica da sei anni?

Certo, difficilmente Lagarde lascerà l’Eurotower fino a quando la gara per l’Eliseo non fosse ufficialmente aperta (e lei ricevesse primi endorsement) e diventassero quindi opportune sue dimissioni immediate. Se Lagarde – dopo il “leak” di ieri – non ritenesse utile addirittura avere le mani libere da subito, senza incorrere in sospetti di conflitto d’interesse nelle prossime decisioni di politica monetaria.

Non manca certamente uno scenario congetturale più articolato e complesso, ma non per questo da escludere a priori: che Lagarde non voglia bruciarsi le carte per l’Eliseo rimanendo in carica piena a Francoforte in una fase che si annuncia estremamente incerta e difficile (guerra dei dazi con gli Usa di Trump, conflittualità politica crescente all’interno dell’Ue e quindi anche dell’eurozona).

Che Lagarde scenda subito dal ponte di comando Bce o fra 6 o 12 mesi, la sua successione è virtualmente aperta. Chi potrebbe guidare l’euro dopo di lei? Dopo un olandese, un italiano e due francesi, i pronostici puntano obbligatoriamente su un tedesco (già per il dopo-Draghi il front runner sembrava l’ex Presidente della Bundesbank Axel Weber). Ma la “prima inter pares” nell’alta governance Ue è già tedesca. Mentre il peso francese nella Commissione e nelle altre prime poltrone europee è ai minimi storici. Si vedrà.

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