Italia con pochi posti letto ma più efficienti: i dati Eurostat mostrano un sistema sanitario in evoluzione, non in crisi.
Quando si parla di ospedalizzazione nel nostro paese emergono con una certa frequenza due preoccupazioni: da una parte si sostiene che le nostre strutture hanno pochi posti letto, dall’altra si osserva che i posti letto, oltre che pochi, sono anche in diminuzione. Queste due preoccupazioni portano i loro sostenitori a concludere sia che il comparto ospedaliero è sottodimensionato quanto ad offerta sia che la medicina ospedaliera sta perdendo punti rispetto ad altre aree di assistenza e di cura.
Premesso che la medicina e l’assistenza ospedaliera non devono essere concepite come un contesto privilegiato rispetto ad altre forme di medicina e di assistenza, con questo contributo si prova ad affrontare le suddette preoccupazioni e, dati alla mano e assumendo una visione europea, si dimostrerà che i pochi letti italiani e la loro riduzione nel tempo non sono una cattiva notizia.
Dal punto di vista tecnico ci aiutano i dati che mette a disposizione Eurostat, dati che prendiamo con la solita prudenza che occorre esercitare quando si confrontano nazioni differenti caratterizzate da sistemi sanitari anche molto diversi tra di loro.
La figura 1 presenta per ogni nazione europea il numero di posti letto ogni 100.000 abitanti nell’anno 2023, cioè l’offerta ospedaliera. La media dell’Europa delle 27 nazioni indica un tasso di circa 511 posti letto, con la Bulgaria (864), la Germania (766) e la Romania (728) che mostrano i valori più elevati e, dall’altra parte, Olanda (231), Liechtenstein (223), e Svezia (187) che presentano i valori più bassi. L’Italia, con i suoi 304 posti letto ogni 100.000 ab sta dalla parte delle nazioni che ne hanno di meno (cioè il nord Europa, più Cipro e la Spagna).
Lasciando i dati più recenti e dando una occhiata al loro andamento temporale, nel periodo 2013-2023 l’Europa nel complesso ha perso il 7,4% dei posti letto (-41 p.l. x 100.000 ab), e con lei la grande maggioranza delle nazioni, Italia compresa, ha diminuito i propri posti letto pro-capite: fanno eccezione solo sette nazioni (Bulgaria, Irlanda, Portogallo, Romania, Liechtenstein, Serbia e Turchia) che invece hanno aumentato l’offerta ospedaliera. Dal punto di vista quantitativo l’Italia con il suo -8,7% (-29 p.l. x 100.000 ab) è in linea con la media europea e fa parte delle nazioni dove la riduzione dei p.l. x 100.000 ab è risultata inferiore.
Anche i tassi di ricovero ogni 100.000 abitanti (indicatori di domanda) sono diversi nelle differenti nazioni: nel 2021, ultimo anno disponibile, Bulgaria (26.295), Germania (21.142) e Austria (20.917) si distanziano largamente dalle altre perché fanno molti ricoveri, mentre Olanda (7.377), Portogallo (6.743) e Liechtenstein (5.638) se ne allontanano dalla parte opposta perché ne fanno pochi. L’Italia (9.328), con la Spagna (8.983), è tra le cinque nazioni che ne fanno di meno.
Prima di valutare l’andamento dei ricoveri nel decennio 2012-2021 si deve ricordare che il 2020 ed il 2021 sono stati interessati dalla pandemia da Sars-CoV-2, fenomeno che non ha avuto alcuna influenza sulla offerta di posti letto ma ha avuto una forte incidenza sui ricoveri ospedalieri, che sono crollati e non sono ancora tornati ai livelli pre-pandemici, oltre a manifestare una elevata eterogeneità territoriale.
Tra il 2012 ed il 2019 cinque nazioni (Bulgaria, Spagna, Francia, Croazia, Svizzera) hanno aumentato il tasso di ricovero mentre tutte le altre, Italia compresa, hanno diminuito i propri ricoveri: per l’Italia, in particolare, tra il 2012 ed il 2019 il tasso di ricovero è diminuito del 12,7%.
A questo punto è utile considerare un terzo indicatore, che rende conto dell’equilibrio tra domanda e offerta: il tasso di occupazione dei posti letto (proporzione di giornate per le quali un letto ospedaliero è occupato da un paziente rispetto al totale dei giorni di un anno, mediato su tutti i posti letto esistenti).
Un basso valore del tasso di occupazione significa che per buona parte dell’anno il letto è vuoto (inefficienza), mentre un tasso di occupazione (medio) troppo elevato indica che nei periodi di maggiore domanda (in inverno, ad esempio) si rischia di non avere letti disponibili: un buon trade-off tra queste esigenze suggerisce una percentuale di occupazione tra il 70% ed il 80%.
La figura 4 presenta il valore riscontrato nelle diverse nazioni nel 2023. Irlanda (87%), Portogallo (83%) e Svizzera (81%) sono un po’ sopra i valori consigliati, l’Italia (76%) è ben posizionata entro la forbice suggerita, più della metà delle nazioni europee è al di sotto del 70%, con Ungheria (58%), Liechtenstein (57%) e Bulgaria (57%) che presentano valori particolarmente bassi.
Per quanto riguarda l’andamento nel tempo del tasso di occupazione, se si eccettuano gli anni (2020 e 2021) dove la pandemia ha avuto maggiore forza nel diminuire i ricoveri il periodo esaminato non ha rilevato sostanziali variazioni nell’occupazione dei posti letto, che si può considerare praticamente costante. Inoltre, come mostra la figura 5 con i dati del 2023, esiste una relazione negativa (seppure non forte: correlazione non molto elevata) tra i posti letto x 100.000 abitanti e la percentuale di occupazione dei letti: al crescere del tasso di posti letto disponibili diminuisce il tasso di occupazione.
In sintesi. Per un verso chi ha più posti letto li occupa di meno (minore efficienza: figura 5), per un altro verso si osserva nel tempo una contemporanea diminuzione sia della domanda di ricoveri ospedalieri che della offerta di posti letto nella gran parte delle nazioni europee, combinazione che fa in modo che il tasso di occupazione sia rimasto sostanzialmente costante nel tempo.
In altre parole, il profilo della domanda di ricoveri (globalmente parlando) sta cambiando, da una parte per la presenza di altre forme di assistenza (territoriale, in particolare) che si prendono cura di determinate categorie di pazienti (cronici, ad esempio), dall’altra per gli avanzamenti tecnologici, clinici e terapeutici che hanno portato ad una drastica riduzione della durata della degenza per molte patologie e soprattutto per gli interventi chirurgici.
Non si tratta di una diminuzione della importanza e rilevanza del comparto ospedaliero come strumento per curare le malattie ma si tratta di un uso migliore dell’ospedale, di una rimodulazione della “mission” di queste strutture (che va di pari passo anche con la modifica delle dimensioni degli ospedali, con la chiusura delle piccole strutture e la concentrazione delle attività in nosocomi più grandi e complessi), obiettivi per i quali serve lasciare ad altre forme e modalità di assistenza il compito di prendersi carico di attività che in precedenza ricadevano nella assistenza ospedaliera.
Quello che sta succedendo non è un fenomeno peculiare del nostro paese ma si ritrova nella maggioranza delle nazioni europee, nonostante i diversi modelli dei servizi sanitari nazionali. La domanda di ricovero e l’offerta di posti letto si stanno numericamente modificando, in diminuzione, mentre appare costante il tasso di occupazione dei posti letto.
In questo contesto il nostro paese presenta un andamento temporale di posti letto e ricoveri in diminuzione ma in linea con la maggioranza delle altre nazioni, però a partire da un numero (tasso) di posti letto inferiore e da una domanda ospedaliera anch’essa inferiore, indicatori che portano l’Italia ad un ottimo posizionamento in termini di tasso di occupazione, cioè di efficienza.
Pertanto, considerato il sostanziale equilibrio che esiste da tempo tra la domanda e l’offerta di ricoveri ospedalieri non ci si deve preoccupare né di avere meno posti letto di altre nazioni e neppure che tali posti letto siano in diminuzione, a meno che da altri elementi arrivino segnali indicatori della necessità di cambiare direzione: al momento questi segnali non si intravvedono.