“P*rco cane” non si può dire: ad affermarlo è l’Aidaa (Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente). L’espressione, comunemente utilizzata come imprecazione, è ritenuta “volgare e offensiva” nei confronti di quello che per la tradizione è il migliore amico dell’uomo. È per questa ragione che Lorenzo Croce, numero uno dell’organizzazione, come riportato da Il fatto quotidiano, ha rivolto un appello alla popolazione affinché essa possa essere eliminata dal gergo, anche a tutela dei bambini.
“Non vogliamo qui fare del facile moralismo, ma così come avviene ad esempio con le favole, dove si presenta sempre, sbagliando, il lupo come un animale cattivo, occorre che qualcuno si prenda la briga di iniziare a modificare questo linguaggio che trasforma il migliore amico dell’uomo in un aggettivo insultante”, ha scritto il presidente dell’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente. Da qui il messaggio direttamente rivolto alla Crusca e non solo:“Ci auguriamo che le varie accademie che curano con amore e gelosia la purezza della nostra lingua prendano posizione in merito a questa nostra richiesta. Che mette in evidenza l’improprio uso di una parola riferita al cane, tanto amato e che viene considerato oramai parte delle famiglie italiane”.
“P*rco cane” non si può dire: da cosa deriva l’imprecazione
L’Aidaa (Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente) ha preso una posizione netta in merito al fatto che “p*rco cane” non si può dire: l’imprecazione va debellata poiché è “una vergognosa appropriazione e un’offesa all’animale, il cui nome cane, appunto, viene impropriamente utilizzato per epiteti e insulti violenti”, oltre a risultare diseducativa per i bambini che la ascoltano. Ma da dove deriva questa espressione?
Le espressioni di disprezzo nei confronti dei cani, così come quelle verso altri animali, hanno origini lontane: sin da prima del Medioevo se ne ha testimonianza. Il “p*rco cane”, tuttavia, sembrerebbe in quei casi far riferimento proprio ad una belva reale, presumibilmente simile ad un cinghiale, che terrorizzava la popolazione. Una testimonianza di ciò si ha nel romanzo storico “La chimera” di Sebastiano Vassalli, che lo definisce come un “animale esistito a lungo negli incubi dell’uomo e ora in via di estinzione, ma ancora vivo nell’uso della lingua italiana”. Un retaggio dunque antico, ma che secondo gli amanti degli animali dovrebbe essere presto eliminato.