RAPPORTO ISTAT 2022/ Il crollo demografico smonta la ripresa italiana

- Natale Forlani

Ieri è stato presentato il Rapporto annuale dell'Istat. Sul nostro Paese pesa il deterioramento delle caratteristiche demografiche della popolazione

anziani Coronavirus LaPresse

Il sistema Italia ha dimostrato una straordinaria capacità di resilienza e di ripresa rispetto agli effetti della pandemia Covid, ma il deterioramento delle caratteristiche demografiche della popolazione rappresenta un serio ostacolo per ogni tentativo di migliorare i livelli di coesione economica e sociale della nostra Comunità nazionale.

Questa è la fotografia che emerge dal rapporto annuale dell’Istat presentato ieri nella sede del Parlamento dal Presidente Giancarlo Blangiardo. L’Italia è la nazione che, in prima istanza, ha pagato le conseguenze più elevate della crisi sanitaria con 16 milioni di contagi ufficiali e oltre 160 mila morti. Ma anche quella che nelle comparazioni internazionali ha riscontrato la maggior adesione della popolazione alle misure messe in campo dalle Autorità.

Il recupero delle perdite economiche in termini di Pil (-8,9% nel 2020) è stato più rapido del previsto. Tanto da anticipare al primo trimestre dell’anno in corso il ritorno sui livelli del Pil precedenti all’avvento della pandemia, originariamente traguardati al primo semestre del 2023. Un risultato analogo è avvenuto sul versante dell’occupazione, con il ritorno oltre i 23 milioni di occupati nel mese di aprile u.s., e con il tasso di occupazione che, per la prima volta nelle serie storiche, ha superato il 60%. Anche per l’effetto della contemporanea diminuzione della popolazione in età di lavoro.

Le caratteristiche di questi recuperi sia per le attività produttive che per l’occupazione non sono state omogenee. La ripresa risulta superiore ai livelli precedenti l’avvento della pandemia per buona parte delle industrie manifatturiere e delle costruzioni. Con risultati, anche sul fronte dell’incremento delle esportazioni, superiori alle performance registrate nei principali Paesi europei. Rimangono ancora al di sotto per quelli dei servizi di: accoglienza, ristorazione, ricreazione e dedicati alle persone. L’aumento dell’occupazione (circa 900 mila posti tenendo conto dei cassa integrati da più di 3 mesi secondo il metodo di calcolo utilizzato dall’Istat) è avvenuto per i due terzi grazie alla ripresa dei contratti a termine che non erano stati rinnovati nei periodi più intensi dei lockdown, con effetti negativi per le componenti dei giovani e delle donne. Con la graduale ripresa delle attività nei servizi anche la componente degli under 34 è tornata sui livelli precedenti la pandemia.

Numeri che hanno smentito la minaccia di un’ecatombe di licenziamenti in uscita dal blocco dei licenziamenti. Fino ad arrivare nei tempi più recenti alla paradossale condizione di avere imprese che non riescono a trovare lavoratori competenti, o comunque disponibili per essere assunti.

Nel rapporto Istat, il potenziale di recupero di attività dei comparti dei servizi e per i nuovi fabbisogni occupazionali delle imprese rappresentano una riserva disponibile che autorizzano la previsione di una crescita economica al sopra del 2,6% già consolidato nel primo semestre dell’anno in corso.

Le nubi all’orizzonte sono ampiamente note. Il rapporto le mette in fila in modo puntuale. La ripresa dell’inflazione è destinata a generare una perdita del potere di acquisto che si manifesterà con l’esaurimento dei margini di risparmio accumulati dalle famiglie nel corso della pandemia. Le incertezze legate ai fattori internazionali, e l’aumento dei tassi di interesse programmati dalle Autorità monetarie per contenere i tassi di interesse, sono destinati a condizionare in negativo le scelte di investimento delle imprese. Indicatori che comportano, nella migliore delle ipotesi, un dimezzamento della stima di crescita del Pil all’1,6% nel 2023.

L’effetto combinato del ridimensionamento del potere di acquisto dei salari e della crescita economica, in assenza di correttivi, comporterà un aumento del numero delle persone e delle famiglie esposte al rischio di povertà assoluta. In particolare quelle con i figli a carico, monogenitoriali o composte da stranieri. Una condizione rimasta sostanzialmente inalterata nel biennio 2020-21 (5,6 milioni di persone rispetto ai 4,6 milioni del 2019) nonostante la mole di aiuti messi in campo dallo Stato a sostegno dei redditi delle famiglie. Senza questi interventi, secondo l’Istat, le persone povere sarebbero aumentate di un ulteriore milione. 

Rispetto alle criticità sul breve e medio periodo, il rapporto pone l’accento sui fattori demografici destinati a generare conseguenze di carattere strutturale anche sull’economia, sull’occupazione e sulla sostenibilità delle prestazioni sociali. La caduta della natalità prosegue con ritmi preoccupanti (-10 nascite nel primo trimestre 2022 rispetto al 2019) anche per l’effetto del dimezzamento dei matrimoni e dell’allargamento dei tempi di permanenza nelle famiglie di origine da parte dei giovani. Attualmente ogni 100 minori under 15 ci sono 188 over 65, 306 nella proiezione per l’anno 2059. Le persone anziane non autosufficienti, 3,8 milioni, sono destinate aumenteranno in modo esponenziale in parallelo alla crescita degli over 80 anni.

La popolazione regolarmente residente in Italia è diminuita di oltre 1,3 milioni nel corso degli ultimi 8 anni e la crescita della popolazione di origine straniera (6,8 milioni, compresi 1,6 milioni diventati nel frattempo cittadini italiani) da tempo non riesce a compensare la riduzione di quella autoctona. Anche i tassi di fecondità delle donne straniere sono in rapida diminuzione. Nei prossimi anni l’Italia dovrà fare i conti con la riduzione delle persone in età di lavoro (circa 5 milioni entro il 2040 ) e dell’aumento vertiginoso di quelle a carico. 

Per reggere questi cambiamenti bisogna aumentare: il tasso degli investimenti tecnologici; la produttività dei sistemi e dei fattori; la quantità e la qualità delle risorse umane attive. Altrettanto sarà necessario adeguare le politiche migratorie per aumentare l’attrattività di risorse umane qualificate e riportare i sostegni assistenziali sull’obiettivo di aiutare le persone fragili. 

Obiettivi che da soli valgono un programma politico, ammesso che le forze politiche trovino il tempo per approfondire le analisi dell’Istat e di utilizzarle per tale scopo.

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