Il Senato ha approvato il Ddl sul femminicidio, ma non ci si può illudere che basti a proteggere le donne
Con il ddl femminicidio approvato al Senato, una nuova fattispecie di norma del codice penale che costituisce un’aggravante all’omicidio e all’infanticidio potrebbe diventare reato autonomo di discriminazione e odio punito con l’ergastolo. Verrebbe anche inserito tra le imputazioni per le quali è prevista per la persona offesa l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in deroga ai limiti di reddito anche per il delitto di tentato omicidio.
Un aspetto molto interessante della legge consente alle giovani donne che hanno compiuto 14 anni di poter accedere ai centri anti-violenza senza la preventiva autorizzazione dei genitori o chi per loro per ricevere aiuto e informazioni.
Comunque è vero che l’applicazione dell’ergastolo può risultare forse una pena simbolica, poiché qualsiasi azione di tipo repressivo se non accompagnata da interventi adeguati in materia di prevenzione, educazione culturale e valoriale, può essere inefficace, come dimostrano i fatti che recentemente si sono verificati più intensamente.
E su questo versante la legge deve comportare un investimento molto più robusto nelle scuole e nei luoghi dove i giovani si ritrovano per ragionare su una cultura che ha radici molto profonde da debellare. A mio parere l’inasprimento delle sanzioni penali o la fattispecie incriminatrice introdotta incide in misura marginale sulla deterrenza di quelle condotte che sono infatti fortemente radicate nelle dinamiche socioculturali che si caratterizzano per una componente emotiva.
Del resto se l’inasprimento sanzionatorio avesse realmente efficacia preventiva, il famoso Codice Rosso del 2019 e la successiva legge del 2023 avrebbero potuto ridurre i casi, cosa che invece non si è realizzata anzi, via via che si sono prodotte norme, come quella contro lo stalking del 2009 e successive, queste non hanno avuto un impatto assolutamente deterrente.
Bisogna prendere atto che il sistema penale non è sufficiente poiché non affronta le cause strutturali del problema e rischia di deresponsabilizzare le istituzioni rispetto alla necessità di implementare politiche sociali, educative e culturali.
Contrastare la violenza di genere oggi significa puntare su una prevenzione riguardo la discriminazione e la violenza cui sono soggette le donne. Bisogna fare in modo che a proteggere le donne non sia solamente la legge, perché se quest’ultima punisce l’omicidio commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona in quanto donna può produrre (attenzione!) nuove forme di esclusione: per esempio, nei riguardi delle persone transgender. La norma potrebbe, quindi, generare paradossalmente nuove forme di esclusione: meglio sarebbe prevedere un’aggravante specifica piuttosto che un reato autonomo, così da evitare disparità.
Per meglio tutelare chi subisce violenza di genere, occorre una rete di pratiche sociali e di solidarietà, visibile nei centri anti-violenza e nelle case rifugio. Purtroppo, però, questo tessuto sociale cruciale si sta indebolendo.
Fondamentale è anche un’adeguata formazione degli operatori del sistema giudiziario, sanitario e delle forze dell’ordine per riconoscere in tempo i fattori di rischio. Non va, infine, dimenticata l’importanza dell’inserimento al lavoro delle donne, dato che spesso la violenza di genere viene alimentata dalla dipendenza economica dal partner: vanno, pertanto, potenziati l’orientamento e i servizi che consentono una conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.
Se, però, il ddl si chiude con l’affermazione dell’invarianza finanziaria, come possiamo fare un salto di qualità su tutti questi fronti senza risorse?
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