Un piccolo bigino aiuta a capire quale sia il contenuto reale dei referendum che si terranno l'8 e il 9 giugno

I referendum proposti dalla Cgil hanno una triplice implicazione.

1) Sul piano culturale, affermano una certa concezione del lavoro come diritto al posto fisso e delle relazioni aziendali come ostilità. Una differente concezione – assai preferibile a giudizio di chi scrive – vede il lavoro come espressione della persona, il posto come percorso da accompagnare e le relazioni aziendali come partecipazione e contrattazione, e conflitto come extrema ratio.



2) Sul piano politico, l’operazione referendum punta a spostare la sinistra dal riformismo a un vecchio infecondo massimalismo. La cosa farà bene a Landini-Schlein; al quadro politico italiano non credo proprio. Neanche a riformisti e cattolici del Pd.

3) Sul piano pratico, i risultati reali che si otterrebbero se vincessero i Sì alle varie abrogazioni proposte non centrerebbero gli obiettivi dichiarati, ammesso e non sempre concesso che tali obiettivi siano buoni.



Ecco un piccolo bigino.

Primo referendum: “Contratto di   lavoro   a   tutele   crescenti –   Disciplina dei licenziamenti illegittimi: abrogazione”.

L’obiettivo dichiarato dai promotori è “Stop ai licenziamenti illegittimi. Torniamo all’art.18”. L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevedeva sempre la reintegra nel posto di lavoro.

La legge attuale, modificata in senso migliorativo per i lavoratori tra il 2015 e il 2024 in 14 punti a seguito di sentenze della Corte costituzionale, non ha abolito del tutto la reintegra, ha limitato i casi in cui si applica, prevedendo per il resto un risarcimento pari sino a 36 mensilità.



Abolendo la legge non si tornerebbe all’art. 18, come propagandato, ma alla legge Monti-Fornero, per la quale il risarcimento può arrivare sino a 24 mensilità, cioè un anno di stipendio in meno.  Referendum tafazziano.

Secondo referendum: “Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale”.

Le imprese in questione sono quelle sino a 15 dipendenti. La proposta è di cancellare il limite massimo di sei mensilità per l’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato in modo che sia il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite né inferiore né superiore. Quindi lo slogan dei promotori è “Più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese”. In realtà, lasciare tutto alla discrezionalità del giudice di per sé non offre nessuna garanzia certa di smenarci di meno. Secondo la Cisl, il problema, che esiste, andrebbe affrontato con una legge che innalzi i livelli sia minimi, sia massimi. Cosa impossibile abrogando.

Referendum impotente.

Terzo referendum: “Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi”.

La proposta vuole eliminare la possibilità di stabilire un contratto a termine senza causale per 12 mesi. Viene presentata dai promotori come “Riduzione del lavoro precario”.

Anche qui la strada migliore sia per le causali, sia per rafforzare le tutele nei rapporti di lavoro a termine sembra essere il potenziamento della contrattazione. Altrimenti il rischio indotto da questo referendum è di ridurre le opportunità di impiego per i giovani e far aumentare il ricorso a contratti di lavoro ancora meno tutelati.

Referendum della sfiga.

Quarto referendum: “Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione”.

I proponenti intendono, attraverso l’abrogazione di questa norma, rendere il committente responsabile anche dei rischi specifici dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice. In questo modo si otterrebbe “più sicurezza sul lavoro“.

In realtà, non si vede come una simile estensione di responsabilità possa concretamente recare beneficio ai lavoratori. Le responsabilità delle ditte esecutrici sono inequivocabilmente stabilite per legge. Non serve il referendum: serve potenziare la partecipazione, la prevenzione, i controlli e la formazione.

Referendum sbagliato.

Oltre ai quattro quesiti sul lavoro proposti dalla Cgil, ve n’è un altro. Referendum più, referendum meno…

Quinto referendum: “Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”.

Personalmente non sarei contrario in linea di principio ai cinque anni. Naturalmente il tutto andrebbe congegnato nel contesto organico di condizioni valutate sulla realtà attuale, che non è quella del ’92, anno a cui risale la legge. Ma appunto, il referendum non costruisce, non ha la pars construens, ma solo quella destruens.

Ma allora come sarebbe possibile stabilire  i cinque anni, solo abrogando la norma dei 10 anni? Con un piccolo gioco di prestigio.

Dunque: cancelli l’articolo che fissa i dieci anni. Lo abroghi, appunto. Poi prendi un articolo che riguarda lo straniero adottato da famiglia italiana, dove si dice che occorrono 5 anni. A questo punto cancelli le parole “adottato da famiglia italiana”. Abroghi. Abroghi una cosa che non c’è. E il gioco è fatto. Due abrogazioni fanno una nuova norma.

Referendum Mago Forrest.

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