Il campo largo dimostra di esserci e vince alle regionali in Puglia e Campania. Ma all'orizzonte ci sono due ostacoli importanti

Il campo largo dà una prova di esistenza in vita nelle due regioni essenziali per la sua sopravvivenza. In Puglia e Campania si affermano due candidati con una storia forte. Decaro in Puglia prosegue un’ininterrotta serie di successi che partono dagli anni di Vendola e si conferma personalità rilevante del centrosinistra, ed in particolare del Pd (25,9%), in grado di poter probabilmente ambire a scenari nazionali, dopo aver governato prima Bari e poi essersi affermato come governatore della Puglia con un consenso larghissimo (63,9%).



In Campania Roberto Fico (60,6%) vince per davvero per la prima volta. La sua non è solo una vittoria elettorale, ma anche di abilità politica. Ha fatto fuori la sua dipendenza da Beppe Grillo, appoggiando Giuseppe Conte, ha portato il M5s ad appoggiare i candidati del Pd in regioni dove era meno scontato, come in Liguria, e si è accordato con il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, prima e con il Pd nazionale poi, per essere lui il successore di Vincenzo De Luca. Anche, soprattutto contro di lui.



Vincono entrambi con risultati schiaccianti e per la prima volta il campo largo nella sua interezza si manifesta. Era elettoralmente vincente anche alle scorse elezioni quando la Meloni trionfò, soprattutto per il mancato accordo tra le maggiori forze di opposizione. Ora che si ritrova unito, la sua gente torna a votarlo e gli elettori, del Pd da una parte e dei 5 Stelle dall’altra, si ritrovano accomunati nella scelta di un unico governo regionale.

Se così rimanesse la legge elettorale e queste rimanessero le condizioni politiche, l’unione di tutte le forze di opposizione avrebbe una chance importante di vittoria contro la Meloni.



Manca solo una personalità cui affidare la leadership e da nominare come premier, ma è una necessità che la legge elettorale riserva ad un momento anche successivo. Per cui sarebbe opportuno prima vincere, per poi eventualmente dedicarsi alla costruzione di un governo nazionale.

Certo è che al momento le forze di opposizione si sentono tutte forti. Il Pd mantiene il ruolo centrale, la sinistra conserva la rinnovata presenza tra i propri elettori e i 5 Stelle, nelle regioni del Mezzogiorno, conservano una loro presenza anche se i numeri sono molto lontani dai trionfi dei tempi di Beppe Grillo.

Dunque le condizioni per battere la Meloni, se le regole restano invariate, sono presenti e praticabili. Ma all’orizzonte non tutto è così sereno. Sicuramente la mancanza di una leadership in grado di coagulare tutti è ancora uno degli elementi di maggiore criticità, ma lo è anche, e probabilmente ancor di più, il grande numero di elettori che si sono astenuti.

Non perché l’astensione in sé penalizzi qualcuno in particolare, ma perché appare evidente che le attuali forze politiche non sono in sintonia con la maggioranza dei cittadini. Nessuna è riuscita a toccare le corde giuste per stanare gli elettori in una fredda domenica di novembre e molti, oltre la metà, sono rimasti a casa probabilmente non motivati né dal votare contro né a favore.

Che sia disillusione o disinteresse, conta poco. Quel che è certo è che se emergesse qualcuno in grado di suonare uno spartito attraente, casomai con un piffero magico come quello dei primi grillini, le urne si riempirebbero di consensi inattesi, facendo diluire le percentuali dei partiti tradizionali di entrambi gli schieramenti.

Perciò il centrosinistra farebbe bene a occuparsi soprattutto di quella parte di elettorato che non si è presentato al voto. Non tanto per accaparraselo tutto, quanto per evitare che vada a finire altrove e possa pertanto minare la possibilità di rendere le attuali opposizioni maggioranza di governo.

Elly Schlein (s), Roberto Fico e Giuseppe Conte dopo la vittoria di Fico alle regionali in Campania (Ansa)

Si è ormai capito che il voto per le regionali è spesso un voto conservativo, di apparato, e senza delle candidature di rottura importanti difficilmente si riescono a ribaltare gli esiti. Allo stesso tempo bisogna cucinare la minestra con quel che c’è. E se alle urne vanno in pochi, che almeno votino le opposizioni per portarle al governo: questa è l’ambizione e la speranza di tutti i componenti del campo largo.

Ma va anche detto che i candidati opposti in Campania in Puglia erano del tutto inconsistenti, quasi quanto il candidato opposto dal campo largo al centrodestra in Veneto. Nel Nord il Pd tiene, la sinistra mantiene i suoi livelli di consenso, ma crolla il M5s che, nella regione che fu di Zaia, porta a casa un misero 2%.

Il dialogo con le categorie produttive da una parte e con il voto disilluso, dialogo che aveva caratterizzato la prima fase del movimento grillino, è ormai un lontano ricordo. Con quella parte di elettorato non dialoga quasi più nessuno degli attuali esponenti del M5s. Resta invece la componente popolare e populista legata soprattutto al reddito di cittadinanza e alla memoria di quello che fu uno dei periodi di maggiore gloria di quella visione politica.

Alle elezioni manca poco più di un anno, un tempo infinitamente lungo, durante il quale tantissime cose possono accadere e soprattutto può capitare che la maggioranza decida di cambiare la legge elettorale proprio per evitare che la banale unione delle forze di opposizione scalzi Giorgia Meloni dal governo.

Non va mai dimenticato che nelle ultime elezioni politiche le opposizioni avevano la maggioranza dei voti, mentre la Meloni le vinse proprio per la loro incapacità di stare assieme. Tenterà perciò di costruire una legge elettorale che valorizzi la sua leadership piuttosto che l’unione di queste liste diverse.

Un cenno di merito alla rinascita dell’Alleanza di verdi e sinistra (Avs), che conservano una loro presenza politica, così come non sono andate male le liste di Renzi che esprimono comunque delle candidature e degli eletti.

Infine, l’anomalia De Luca produce una lista civica che fa numeri  importanti in Campania. In questa regione, in particolare, gli accordi prevedono che gli assessori verranno attribuiti sulla base del peso delle singole liste, il che fa prevedere che ai deluchiani spetterà un posto in giunta come agli altri partiti. Un’anomalia che rischia di essere una spina nel fianco della presidenza Fico soprattutto nelle prime battute di formazione della giunta.

Insomma, le elezioni hanno restituito il quadro che ci si aspettava senza grandi sorprese. Il centrosinistra si conferma nelle regioni che governava e le coalizioni mantengono la leadership tra i votanti, molto meno nella società civile e nei cittadini.

Come intervenire per ridurre l’astensionismo e come riuscire a prendere il voto degli indecisi sarà il tema del prossimo percorso di riflessione di quelle forze, ma tutto passerà inevitabilmente per la scelta di una leadership che sappia indirizzare le proprie parole a quel pezzo di società che oggi non si sente rappresentata.

Questa è la vera necessità: trovare un interlocutore valido che porti a casa quei voti prima che arrivi qualcun altro e li tolga dal piatto sul quale la Meloni li ha messi.

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