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Home » Energia e ambiente » REPOWER EU/ Le illusioni da evitare su indipendenza e transizione energetica

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REPOWER EU/ Le illusioni da evitare su indipendenza e transizione energetica

Angelo Colombini
Pubblicato 22 Maggio 2022 - Aggiornato alle ore 23:36
Energia_Pannelli_Solari_Pixabay

(Pixabay)

L'annuncio del programma REPower EUe è senz'altro positivo, ma bisogna evitare alcune illusioni riguardo la sua attuazione pratica

Le vicende degli ultimi anni, aggravate ulteriormente dalla guerra causata dalla Russia, hanno dimostrato che il nostro sistema economico, ma anche quello sociale, non sono adeguati tecnologicamente e culturalmente per una veloce transizione ecologica ed energetica. Questo ci pone di fronte a diverse questioni; se da un lato è sempre più urgente accelerare i processi di transizione, dall’altro occorre evitare strappi che rischiano di minare la coesione sociale e far venir meno il consenso verso la necessaria modifica di comportamenti, anche personali, con stili di vita più sobri, e per favorire nuovi modelli di sviluppo.


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In tal senso l’annuncio da parte della Commissione europea dell’avvio del programma ”REPowerEU’‘ è un passo positivo. La diversificazione delle fonti e dei fornitori, la cooperazione tra i Paesi europei per l’acquisto del gas, la spinta per le rinnovabili, la decisione di fare un ulteriore passo verso i bond europei con un investimento complessivo da 300 miliardi di euro (72 di sovvenzioni e 226 di prestiti) è uno scenario più volte indicato dalla Cisl anche rispetto all’Italia, dove occorre procedere con decisione verso la costruzione di nuovi impianti per la produzione da Fonti di energia rinnovabili e nello stesso tempo adottare misure che consentano di salvaguardare il nostro apparato produttivo, salvaguardando posti di lavoro, competenze e professionalità del nostro Paese.


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Ribadiamo come abbiamo fatto da mesi la necessità di accelerare sulle Fer, avendo un approccio di complementarità tra le tecnologie e le fonti energetiche, senza escluderne alcuna aprioristicamente, anche perché rispetto alle potenziali innovazioni spesso si fa riferimento a tecnologie, in particolare l’idrogeno, ancora non immediatamente disponibili in maniera massiccia e/o economicamente conveniente se non addirittura ancora in fase di sviluppo. In tal senso occorre definire un concreto percorso di uscita dalle fonti fossili chiarendo definitivamente ciò che è possibile fare nel breve, medio e lungo periodo; senza illudere le persone, le lavoratrici e i lavoratori.


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Tale approccio sarebbe utile specialmente in relazione ad alcune proposte generiche o poco realistiche, come quelle che è possibile uscire velocemente dalle fonti fossili, se non collegate ai tempi delle necessarie trasformazioni/transizioni dei vari settori economici. Questo vale anche se si fa riferimento alle normative perché i pacchetti di proposte, legate al Green Deal europeo e a Fit For 55, hanno un percorso pluriennale.

Non è un percorso semplice, specialmente in questo momento, ma la guerra in Ucraina ha evidenziato molte storture del sistema energetico dell’Italia e di altri Paesi europei, a cominciare dalla Germania, che è restia a incrementare le sanzioni proprio per salvaguardare il proprio apparato produttivo che è tra i primi al mondo.

Tuttavia, è fondamentale mettere al centro dei processi di transizione il valore del lavoro e delle persone che lavorano, evitando di considerarle principalmente o semplicemente dei consumatori, in tal senso è importante valutare l’impatto sul mondo del lavoro; ad esempio, c’è un Report Epsu (sindacato europeo del settore elettrico ed energetico), di qualche anno fa, dove si evidenzia che la privatizzazione del settore elettrico ha ridotto la dimensione aziendale, ha frammentato il settore con la perdita di numerosi lavori e le Fer finora hanno creato pochissimi nuovi posti di lavoro stabili con qualifiche più basse e riduzione dei salari.

Le scelte dell’Unione europea dimostrano ancora una volta che il gas è considerato la principale fonte energetica di transizione e nel breve periodo, laddove possibile, riteniamo importante utilizzare risorse e materie prime nazionali, evitando un approccio definito “neo-colonialista” nell’acquistare ciò di cui abbisogna l’Italia da Paesi in via di sviluppo e/o da quelli con Governi scarsamente democratici, con l’ulteriore rischio di perdere imprese, competenze e professionalità in Italia, oltre a quello di essere dipendenti sempre dall’estero.

Tuttavia, gli impatti della transizione energetica e di quella ecologica non si risolvono solo con un cambio di fornitori e di fonti energetiche, occorrono investimenti urgenti per favorire la creazione di nuove imprese e accompagnare le lavoratrici e i lavoratori nella transizione da un lavoro a un altro, da una competenza a un’altra con efficaci politiche attive del lavoro, di cui in Italia siamo ancora carenti se non totalmente sprovvisti. Investimenti che necessitano proprio a partire dal settore energetico dove occorre promuovere velocemente filiere produttive e catene di approvvigionamento per evitare di rimanere ancora per lungo tempo importatori di materie prime e prodotti.

Occorre un forte impegno politico ed economico per difendere e innovare il nostro settore primario e il sistema manifatturiero e industriale, con investimenti mirati alla transizione energetica a cominciare dalla riduzione dei consumi energetici e alla produzione di energia rinnovabile, anche con l’aiuto delle Comunità energetiche, per le quali va definito il prima possibile il complessivo quadro normativo. Il previsto obbligo di installare pannelli solari sui tetti dei nuovi edifici privati e di quelli pubblici può essere uno stimolo proprio per l’avvio di nuove Comunità energetiche rinnovabili, capaci di creare sistemi virtuosi di produzione, autoconsumo e condivisione dell’energia.

In chiave di autonomia energetica vanno valorizzati i processi di economia circolare che prevedono anche la valorizzazione energetica dei rifiuti non riciclabili e processi di produzione di biogas e bio carburanti, che tra l’altro consentono di evitare il fenomeno del cosiddetto turismo dei rifiuti e il ricorso alle discariche, costruendo, dove servono, i termovalorizzatori.

L’economia circolare, però, non è solo rifiuti. Essa inizia con lo studio di nuovi materiali e del loro utilizzo, con la riprogettazione dei prodotti e dei processi produttivi, che a loro volta sono frutto di nuova formazione a cominciare dal mondo universitario. Si potrebbe dire che l’economia circolare è il frutto di un circolo virtuoso che parte dalla progettazione e ricomincia con il riutilizzo dei beni e dei materiali, fino a quando possibile. Materiali in grado di “non inquinare” persone, terreni e atmosfera.

La pandemia e da ultimo questa guerra sciagurata hanno fatto da acceleratore a processi in atto, evidenziando ancor di più le molte contraddizioni e le difficoltà che vi sono in Europa e in Italia nel sistema economico e sociale nel mettere in atto i necessari adeguamenti.

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Tags: Cisl

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