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Home » Cinema e Tv » Film e Cinema » RICARDO E LA PITTURA/ Il docufilm su un “monaco” che con l’arte insegna a vivere

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RICARDO E LA PITTURA/ Il docufilm su un “monaco” che con l’arte insegna a vivere

Chiara Pajetta
Pubblicato 28 Novembre 2025
Una scena del film

Una scena del film

"Ricardo e la pittura" è un prezioso docufilm, dedicato dal regista Schroeder a un amico artista che ama la bellezza e vuole condividere la sua felicità

Chi è appassionato all’arte e alla sua storia guarderà con gusto e gratitudine Ricardo e la Pittura, la pellicola presentata fuori concorso al Festival di Locarno nel 2023 e distribuita dal 27 novembre nelle nostre sale. Il regista Barbet Schroeder ci accompagna in un viaggio affascinante, guidato dallo sguardo colto e visionario dell’amico artista Ricardo Cavallo, che ci permette di indagare l’origine stessa della creazione artistica, quasi a coglierne il segreto profondo.


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“Il film è veramente nato dall’unione dei nostri due spiriti. Spesso Ricardo ha intuito ciò che mi aspettavo da lui, rispondendo oltre le mie aspettative. Il suo pensiero permette di mostrare che tutto è intimamente connesso, che la storia dell’arte somiglia a un flusso ininterrotto”. Così Schroeder racconta la sua esperienza cinematografica, che lo spettatore segue direttamente sullo schermo nello scorrere delle immagini, che documentano luoghi e attività dell’originale pittore, che potremmo definire un “monaco dell’arte”.


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Da Buenos Aires, dove è nato nel 1954, alla grotta-atelier nel Finistère in Bretagna, passando per Parigi e il Perù, il viaggio con Ricardo ci immerge nella storia della pittura e insieme ci regala lo sguardo puro e appassionato di quest’uomo eccezionale, la cui vita coincide con l’esperienza artistica. Con umiltà e semplicità ha infatti dedicato l’intera esistenza alla sua passione, mettendola poi a disposizione dei bambini del villaggio dove infine si è ritirato.

Schroeder ricorda così il suo primo incontro con Ricardo, in un piccolo appartamento di Neuilly: “La sua pittura e la personalità mi conquistarono immediatamente. In un istante ho capito che nella vita si incontrano poche persone come lui. Ricardo è una uomo con una sensibilità unica, di eccezionale apertura verso gli altri e di grande generosità in ogni istante. C’è in lui una dimensione cristiana: attrae le persone che si radunano attorno a lui, che sentono e sanno che da lui saranno ascoltate”.


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Del resto, già quando era ancora in Argentina, Cavallo si era recato al monastero trappista di Azul, dove aveva incontrato padre Amadeo, eremita e artista. Anche in Perù, dove si trasferì dopo la maturità, incontrò un monaco-filosofo. L’anelito religioso era dunque evidentissimo. Ma la sua formazione si completò a Parigi, dove si stabilì per studiare all’École des Beaux-Arts e visitare i musei più prestigiosi, soprattutto il Louvre.

Una scena del film

Per Ricardo tuttavia la rivelazione della pittura avvenne al Prado, in occasione di un viaggio a Madrid, quando si trovò di fronte ai dipinti di Velázquez. Si dedicò poi a un esercizio introspettivo, attraverso il lavoro immaginativo, che gli aprì nuove prospettive pittoriche.

Ebbe diversi riconoscimenti, come quello di essere scelto nel 1991 come rappresentante della Francia per la mostra Giovane Pittura in Europa, organizzata dal Museo d’Arte Contemporanea di Trento. Venne anche menzionato per la selezione italiana alla Biennale di Venezia del 1995, ma la cittadinanza argentina gli impedì di partecipare.

Il film è frutto di un’amicizia quarantennale tra il regista e il pittore, che hanno visitato insieme musei e mostre: memorabili le “lezioni” di storia della pittura di Cavallo, in cui collega diverse opere, come se una potesse dialogare con l’altra: dai ritratti del Fayum alla pittura greca, per arrivare fino al Cubismo, a Braque e a Picasso. Il tutto è stato girato da Schroeder senza preoccuparsi che in qualche inquadratura spuntassero microfoni, un tecnico o addirittura lo stesso regista, perché il film è un’opera sulla vita di un pittore e allo stesso tempo anche lo svolgimento quotidiano della pellicola che si sta realizzando su di lui e sull’arte.

Del resto per Ricardo non c’è differenza tra i momenti abituali della vita e quelli in cui dipinge. Così un pranzo semplicissimo (lui si nutre di riso e frutta), condiviso con gli ospiti, è l’occasione per introdurre nel film Ritratto di Madame Cézanne. Le finestre della sua modesta abitazione sono sempre aperte, perché il pittore vuole avere la sensazione e la temperatura dell’esterno. Esattamente come quando dipinge en plein air, per esempio nella grotta vicino al mare della Bretagna, dove si è rifugiato abbandonando la troppo affollata Parigi.

Mentre dipinge, Ricardo parla con l’amico regista, rispondendo alle sue domande. Per esempio su come rappresentare la natura, che lui ritrae su enormi dipinti costituiti dall’accostamento di pannelli quadrati dai colori meravigliosi. Nel dialogo il pittore accenna agli Impressionisti, ma confessa di trovare ispirazione pure in Annibale Carracci, per il quale il paesaggio era solo sullo sfondo. Poi si sofferma sulla natura morta e spiega che Caravaggio e Velázquez sono stati i primi a dipingere direttamente, senza disegno preliminare… come fa lui.

Oggi Ricardo gestisce nel paesino di Saint-Jean-du-Doigt una scuola di pittura per bambini totalmente gratuita, un modo per trasmettere la sua conoscenza e insieme allenare lo sguardo dei più piccoli, perché si aprano verso il mistero e la libertà. Del resto lo scopo della vita e della pittura è quello dichiarato dalla frase finale del film: “Sarebbe bello continuare a vivere questa felicità così, ogni giorno”.

E Ricardo appare davvero felice quando nella fredda, piovosa ma luminosa Bretagna dichiara: “Questo è per me il luogo della Rivelazione… per vivere questa dimensione, per essere vicini agli elementi, bisogna pagare un certo prezzo. Questo richiede determinazione, concentrazione e pazienza. Ma queste cose che ci feriscono ci benedicono anche”. La sua arte è per noi davvero un’affascinante benedizione.

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