«Alla fine, tutti vedranno, sarà la Lega Nord a staccare la spina al governo». Quante volte si è sentito questo vaticinio dai vari commentatori politici da quando il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha fatto mancare il suo sotegno a Silvio Berlusconi? E occorre partire da questa considerazione politica anche per valutare il passaggio tecnico che le disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale stanno compiendo in Parlamento.
«Federalismo o morte»: è il grido di battaglia delle ultime ore del ministro per le Riforme, Umberto Bossi. Come dargli torto? Tolto il federalismo viene eliminata l’essenza dell’azione di governo della Lega. Il punto è che l’Anci ha chiesto una conferenza straordinaria per correggere il testo presentato dal ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli. Costringendo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a gettare acqua sul fuoco.
Lui sull’onda del federalismo è colui che otterrà più di chiunque altro in Italia: una provvista suppergiù di 500 milioni l’anno che gli fanno dire che il rischio crack corso nel dopo Walter Veltroni è ormai un ricordo lontano e tanta autonomia gestionale in campo amministrativo e in particolare urbanistico. Ma sa che la partita va avanti per tutti o per nessuno e se salta il banco ci rimette pure Roma capitale.
Se salta il federalismo, viene meno anche l’autonomia amministrativa che già è stata concessa. Inoltre andrebbero persi i 500 milioni di euro l’anno per Roma Capitale, che lo Stato stanzia già dal 2010 per finanziare il piano di rientro dal deficit presentato da Alemanno. Inoltre salterebbe l’attribuzione a Roma di un proprio patrimonio proveniente dai beni statali che verrebbero trasferito al Campidoglio.
L’Anci non ha bocciato la bozza sul federalismo municipale, ha dunque spiegato Alemanno, «ma ha fatto una serie di osservazioni e correzioni, da inserire soprattutto per la gestione del transitorio: abbiamo bisogno subito di avere la possibilità di raccogliere nuove risorse in questa trasformazione, per superare i tagli governativi ai trasferimenti statali ai Comuni». Si tratta delle risorse necessarie da qui al 2014, quanto la riforma andrà a regime. Più soldi – sporchi, maledetti e subito: infatti è chiaro che ne va della tenuta del governo, vera posta in gioco.
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È così che sotto i colpi del caso Ruby l’ultimo decreto legislativo sul federalismo diviene un’occasione da non perdere per i Comuni alle prese con il forzato inasprimento delle tariffe o la contrazione dei servizi. Queste le richieste messe nero su bianco: sbloccare da subito il potere di modificare o introdurre l’aliquota dell’addizionale comunale all’Irpef, per esempio, prevedendo che l’incremento di gettito dei tributi devoluti resti nei comuni ove esso è prodotto; prevedere l’immediata possibilità di applicare il contributo di soggiorno per tutti i comuni e riportarlo ai valori già individuati nella legislazione vigente. Il nuovo testo indica da 0,5 a 5 euro per notte di soggiorno. L’Anci in particolare sostiene che sono soprattutto i piccoli comuni a forte vocazione turistica ad aver bisogno di questa misura (e non solo i comuni capoluogo come previsto da Calderoli).
Tra le richieste dell’Anci anche la concertazione tra Governo, Parlamento e Comuni per stabilire le aliquote di compartecipazione ai tributi immobiliari, all’Irpef, alla cedolare secca nonché di avere certezza e stabilità per l’aliquota dell’Imup da fissare nel decreto (i Comuni non vogliono che il governo la possa stabilire a piacere ogni anno in Finanziaria perché sennò si genera incertezza sui bilanci preventivi) e poi, ancora, definire come funzionerà a regime il fondo (gli uffici del Parlamento finora hanno stabilito quanto ci perde o ci guadagna ciascun Comune); i particolari della base imponibile e del gettito della nuova imposta municipale (Imup) e una maggiore chiarezza in tema di gestione dei rifiuti che i Comuni vogliono che resti ai Comuni. Infine si cercano incentivi per la fusione dei Comuni. Ciò naturalemente in aggiunta a tutto quanto già previsto.
Tra le varie novità dell’ultimo testo in particolare il 75 per cento delle sanzioni sui cosiddetti immobili fantasma non registrati al catasto e la compartecipazione all’Irpef che perciò scende dal 2,5 al 2 per cento. E, soprattutto, l’introduzione del concetto di quoziente famigliare con l’arrivo della cedolare secca sugli affitti.
«Una quota del gettito riscosso a decorrere dall’anno 2011 in forza della differenza delle aliquote della cedolare secca di cui al comma 2, non superiore a 400 milioni di euro annui», si legge nel testo, «è iscritta nell’anno successivo in apposito fondo per essere destinata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare d’intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ad interventi in favore delle famiglie dei conduttori di unità immobiliari adibite ad abitazione principale, con particolare riguardo al numero dei figli a carico».
(Corinna F. Dora)