Dopo un’attività di bonifica iniziata due settimane fa, nell’edificio della Regione Lazio, quartiere Eur, sono state rinvenute apparecchiature per intercettazioni all’interno di alcuni uffici, compreso quello della governatrice Renata Polverini. «Una situazione che provoca profonda amarezza – ha dichiarato il Presidente del Lazio durante la conferenza stampa di ieri – perchè chiunque si pone con capacità di riformare e cambiare le cose viene preso di punta da chiunque».
Cimici e microtelecamere sono state trovate infatti all’interno delle prese elettriche con lo scopo di intercettare conversazioni, telefonate e informazioni sensibili. «Al giorno d’oggi la tecnologia offre un ventaglio di opzioni molto ampio a chi vuole compiere azioni di spionaggio. I malintenzionati si ritrovano così in una posizione di assoluto vantaggio rispetto a chi si deve difendere». Parola di Carlo Biffani, direttore generale della Security Consulting, azienda specializzata in sistemi di sicurezza a 360 gradi, intervistato da IlSussidiario.net.
«La presa elettrica è un nascondiglio abbastanza consueto. La novità più importante è costituità però da microregistratori sempre più complessi da rilevare. Il segnale che inviano è infatti molto breve ed è l’unica traccia che permette di scovarli».
Durante la conferenza stampa la Polverini ha ipotizzato tra i possibili colpevoli aziende danneggiate dal suo lavoro, malavita e servizi deviati. «Quando viene sferrato un attacco a un’istituzione di questo livello l’investimento è sicuramente importante ed è supportato da capacità tattiche tali da poter posizionare in maniera professionale la strumentazione. Detto questo, escluderei il coinvolgimento dei servizi segreti. Quello dei servizi deviati mi sembra un ritornello un po’ scontato. Più facile pensare a una concorrenza di carattere politico o alla malavita. Avere le informazioni di un ufficio così importante può essere determinante sull’esito di appalti e gare rispetto alla concorrenza».
Chi ha commesso il crimine però inconsapelvolmente può aver lasciato una traccia. «Dall’analisi della strumentazione ci si può fare un’idea precisa di chi ha sferrato l’attacco. Con un po’ di fortuna si può risalire ai fornitori. Il mercato è specializzato e il cerchio si può stringere di molto. Se sono grandi professionisti, si saranno cautelati rivolgendosi a canali esteri».
In ogni caso ha sorpreso molto scoprire che nessuna bonifica era stata fatta al momento dell’insediamento. «Sarebbe stato opportuno. Si tratta di una sede di assoluta rilevanza e una bonifica non ha certo costi proibitivi. Stiamo parlando di qualche migliaio di euro. Una spesa che aziende anche mediamente piccole decidono di affrontare per non correre il rischio di essere danneggiati da una concorrenza sleale».
Non solo, la Regione ha appurato che i controlli della sede non erano all’altezza. Circa 600 badge falsi permettevano l’ingresso a persone non autorizzate, mentre la rete internet era continuamente “bucata” da migliaia di “password pirata”. «La sicurezza è un problema complesso, che non si può affrontare semplicemente mettendo delle guardie giurate all’entrata dell’edificio o spostandosi con una scorta. Senza un’adeguata valutazione del rischio svolta professionalemtne da un security manager e un serio investimento le conseguenze possono essere molto negative. Questo caso, ancora una volta, lo dimostra».