Roma. Un mese e mezzo fa, dopo varie sedute notturne, il Consiglio regionale del Lazio ha approvato definitivamente il cosiddetto “Piano Casa” con 41 voti a favore e 22 contrari. L’approvazione era avvenuta più velocemente grazie alla decisione della giunta di presentare il maxi subemendamento generale che ha fatto decadere i circa 180 emendamenti presentati dall’opposizione, che ha immediatamente contestato la procedura.
I punti chiave del piano casa – Sarà possibile ampliare l’edificio e le villette unifamiliari o a schiera del 20%,entro il massimo di 70 mq; è inoltre prevista edilizia sociale anche per studenti universitari, categorie protette o svantaggiate, lavoratori del comparto sicurezza, vigili del fuoco e forze armate; sarà possibile demolire e ricostruire con cambio di destinazione d’uso riservando il 30% degli appartamenti ad edilizia sociale, e la sostituzione di condomini in degrado con aumento della volumetria del 60%; è previsto inoltre il recupero a fini residenziali delle pertinenze agricole entro il 50% delle abitazioni esistenti e fino ad un massimo di 70 mq, e il recupero a fini sportivi dei volumi accessori degli impianti esistenti. La governatrice Renata Polverini ha dichiarato subito dopo l’approvazione che questo piano casa «rilancia il settore edile creando occupazione con particolare riguardo alle piccole e medie imprese, e promuove il recupero e il riuso del patrimonio edilizio esistente, in particolare di quello dismesso o non utilizzato, con l’offerta di nuovi alloggi di edilizia sociale. Promuove anche la sostituzione edilizia, adottata ormai in tutta Europa tranne che in Italia, e va incontro alle attese delle associazioni di categoria, in particolar modo di quelle artigiane e delle piccole imprese».
Le polemiche – Il piano casa è stato definito da molti incostituzionale in più punti. Il primo a lanciare le critiche è stato lo stesso ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan, secondo cui assisteremo a «un condono in aree vincolate, ma il condono è una materia nazionale. Il ruolo di qualsiasi ministro dei Beni culturali è quello di tutelare il patrimonio culturale, e questa legge tende a svilirlo e ad indebolirlo. È esattamente l’opposto di quello che ci vuole per il nostro Paese». Anche secondo Luigi Nieri, Capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà nel Consiglio regionale del Lazio, «gli ampliamenti riguardano anche aree naturali protette e i parchi. Si rischia dunque di causare gravi danni al territorio senza dare alcuna risposta all’emergenza abitativa. Una vera e propria catastrofe. Siamo in presenza di una legge che, inoltre, può aprire contenziosi nei condomini e nei quartieri, perché agevola ampliamenti selvaggi e fuori da ogni logica programmatoria».
Il parere dell’esperto – IlSussidiario.net ha contattato l’avvocato Stefano Gattamelata per analizzare i vari punti del piano e capire se effettivamente è riscontrabile una certa incostituzionalità. «Farei una premessa. I confini della potestà legislativa rispettivamente dello Stato e delle Regioni e dunque della loro relativa delimitazione a priori non è così automatica e va vista nel concreto. D’altra parte la materia urbanistica più di altre attua l’idea politica che si può avere del territorio e del suo utilizzo; così che è materia socialmente sensibile e di grande impatto, sì che appare più che giustificato il dibattito attorno alla nuova legge».
Eventuali ricorsi alla Corte costituzionale – L’avvocato Gattamelata continua a spiegare che «è tecnicamente possibile che la legge venga impugnata innanzi alla Corte costituzionale; qualora gli eventuali ricorsi fossero accolti, l’effetto sarebbe quello di una abrogazione di quella specifica parte di essa (specifica previsione) che fosse ritenuta come invasiva delle competenza statali e dunque dichiarata incostituzionale; la legge resterebbe vigente ed operativa per la restante parte. E tuttavia occorre verificare se – al di là della teorica possibilità di impugnazione da parte del Governo- ci siano profili di possibile incostituzionalità. La mia opinione, a prima lettura, è che essa contenga quei “paletti” minimi che permettono di mantenere correttamente distinte le funzioni e le prerogative dello Stato da quelle delle Regioni. Non vedo dunque dei profili chiari di invasione della competenza statale di legislazione primaria. Come ho detto però il confine tra le potestà regionali e statali è labile; e non mancano nella legge alcuni profili di criticità tali da potere essere a tal fine approfonditi».
Vediamo quindi schematicamente questi approfondimenti necessari: «L’applicazione della legge (oltreché allezone agricole) è anche alle zone sottoposte a vincoli paesaggistici; e qui bisogna porre attenzione alla disciplina nazionale di tutela dei beni paesaggistici e culturali contenuta nel Codice “Urbani”; mi pare invece che non si possa sostenere (anche perché non sarebbe giuridicamente possibile) che sia avvenuta una abrogazione di normativa nazionale di alcun genere. Inoltre gli incentivi volumetrici previsti sono -in alcuni casi- molto importanti e rischiano di alterare l’aspetto dei territori già urbanizzati poiché evitano la pianificazione urbanistica (ed anzi possono derogarvi), invece prevista dalla legge nazionale; con la conseguenza pratica che la disomogeneità di molte aree urbanizzate del nostro territorio, e la loro strutturale carenza di infrastrutture e servizi pubblici, non venendo recuperata attraverso interventi sistematici e di più ampio respiro, potrebbe risultare infine ulteriormente aggravata».
Aree protette e zone naturali – Riguardo invece al rischio di vedere cementificate zone naturali o aree protette, l’avvocato Gattamelata chiarisce che «la legge non si applica alle aree protette, da un punto di vista sia storico, sia ambientale né alle zone a rischio; ciò in linea con la legge nazionale, sicché all’interno di tali aree non solo non potranno realizzarsi nuove costruzioni, ma quelle già in ipotesi presenti non potranno comunque essere né ampliate, né assoggettate a cambi di destinazione d’uso. Tali possibilità invece vengono consentite in quelle zone delle aree protette con “minore” intensità dove – dagli strumenti pianificatori dell’ente di competenza- sia stato già specificamente previsto o sia in essere lo svolgimento delle attività umane (vale a dire nelle zone ove già l’uomo vive ed opera), peraltro a condizione che quanto si voglia realizzare sia compatibile con le specifiche norme di gestione delle zone tutelate (che quindi non sembrano derogate dalla nuova legge), e che sia rilasciato lo specifico nulla osta delle autorità preposte alla tutela del vincolo. Sotto questo profilo mi pare che la legge sia attenta a non travalicare i limiti minimi stabiliti dai principi generali di tutela previsti dal legislatore nazionale e dai singoli piani di tutela, ed a rispettare le competenze degli altri enti presenti sul territorio, ivi in particolare incluse le Sovrintendenze, le Autorità di gestione dei Parchi e quelle preposte alla tutela dei vincoli idrogeologici».
Edilizia selvaggia – L’avvocato Gattamelata affronta poi la questione del rischio edilizia selvaggia: «Non mi pare che la legge agevoli un’edilizia selvaggia, ma è necessario andare con ordine: il Piano casa modifica il preesistente testo di legge del 2009 – sostanzialmente inattuabile ed inattuato – incidendo sulla semplificazione procedurale ed attribuendo maggiore valenza alla autocertificazione del soggetto promotore, al fine dichiarato di divenire un volano per l’economia regionale aumentando l’offerta residenziale anche a canone calmierato attraverso incentivi di ampliamento degli edifici esistenti. Certamente, l’autodichiarazione (cioè la .d.i.a.) presuppone la sua veridicità oltreché la coerenza con le opere edificande; coerenza che – va detto- non è sempre propria nei nostri territori. Così affinché il Piano casa non divenga un altro modo per legittimare a posteriori interventi eseguiti abusivamente in precedenza, ovvero invasivi oltre il consentito, è necessario che i Comuni (spesso sul punto assenti o “distratti”) esercitino realmente il controllo del loro territorio, ed in particolare verifichino la correttezza delle pratiche edilizie presentate, anche in fase di attuazione della d.i.a. (sulla valenza della d.i.a. e sui poteri di controllo dell’amministrazione comunale, rinvio alla recente decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 29 luglio scorso)».
Liti fra condomini – Infine, per quanto riguarda ai possibili conflitti fra condomini, «va detto che la legge non regola i rapporti tra privati (e non avrebbe potuto farlo) ma disciplina i profili pubblicistici in ordine agli ampliamenti, cosicché, come sempre con riguardo ai provvedimenti amministrativi ampliativi della sfera di un privato, essi vengono rilasciati fatti salvi i diritti dei terzi. La legge richiede infatti che gli interventi di ampliamento possono essere effettuati sulla singole unità immobiliari in edifici plurifamiliari (cioè i condomini), proporzionalmente alle superfici di ognuno di essi; tali ampliamenti “devono essere realizzati sulla base di un progetto unitario riguardante l’intero edificio”. Sembra dunque che debba essere una volontà del condominio volto alla predisposizione del progetto unitario, il presupposto per far beneficiare i vari condomini degli ampliamenti previsti (oltreché delle eventuali possibilità di cambiare destinazione a volumi condominiali, accessori e pertinenziali). In ordine poi a contestazioni circa la determinazione dell’assemblea condominiale occorrerà far riferimento ai comuni principi civilistici e verificare in particolare i regolamenti di condominio in relazione alla eventuale modifica dell’aspetto esteriore dei palazzi, anzitutto, nonché in relazione alla conseguente necessità di rideterminare le tabelle millesimali all’esito dell’eventuale ampliamento che fosse richiesto dal condomino per la parte di sua proprietà».
(Claudio Perlini)