“Guardi che meraviglia Signo’”. Questa volta il tassista che mi prende in piazza San Pietro mi invita a contemplare la Basilica illuminata e splendente di pioggia prima di farmi la domanda di rito. Cinque, quattro, tre, due, uno… “Quando lo famo’ sto Papa?” Se ho l’accredito vaticano addosso o mi riconoscono per i video passati, non me la posso sfangare: devo passare i 15 minuti di tragitto fino alla mia redazione rispondendo in maniera distratta a domande ovvie. Ma la prima è sempre la stessa, il “quando”. Non il “chi”, che pure sarebbe legittimo e magari anche più stimolante, ma il giorno, il momento, l’istante in cui si finirà di essere orfani.
Certo questa volta di Papa ce n’è già uno, anche se emerito, che prega, mangia, prega, legge, prega, studia, prega, dorme, prega, suona e poi prega ancora. Ma l’essere umano cattolico, e quello romano in particolare, ha bisogno della compagnia della luce accesa al terzo piano del palazzo apostolico, della certezza di qualcuno sulla cattedra di Pietro, della guardia vaticana in assetto solenne, della Santa Sede presidiata e della polarità di cariche. Senza Papa non ci sa stare. Sarà perché in passato i tempi di sede vacante non erano proprio rassicuranti o perché nell’assenza di ogni altra certezza politica, sociale ed economica, sulla Chiesa cattolica, apostolica e romana si può continuare a contare o ancora perché semplicemente il cuore umano ha bisogno di compagnia, ma è indubbio che l’ansia aumenti e l’attesa si faccia avida.
Domani finalmente inizia il Conclave. I 115 cardinali, con quelle facce che per molti sono di carta o deformate dall’obiettivo, procederanno lentamente dalla cappella Paolina, attraverso la sala Regia e poi a sinistra verso la cappella Sistina. Con la veste rossa, il rocchetto, la mozzetta e la berretta, chiamando in rinforzo i Santi, sfileranno verso lo spazio sacro impreziosito da Michelangelo e da altre mani. Tutti uguali, quasi indistinguibili. Tutti pronti ad ascoltare lo Spirito. Tutti consapevoli che fuori, il mondo, aspetta. Sono loro ad eleggere il 266° pontefice, ma anche loro come figli attendono un padre. Uno di loro. Che si sentirà porre la domanda “Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem?”.
Se c’è una speranza che sostiene, alimenta, riempie, puntella ogni sincero fedele nelle ore che separano dall’inizio delle votazioni è che quell’uomo, giunto il momento, risponda “sì”. Non importa chi. Non a chi ha fede. Ma che ci sia, che la sua libertà gli faccia fare il passo avanti come i soldati prima di una battaglia, che sia pronto a imbarcarsi in uno dei mestieri più difficili e logoranti del mondo, per un servizio che comprende quasi sempre la Croce, certo che questo è il suo destino e che non sarà mai solo.
Ci vuole coraggio per prendere il timone della barca di Pietro, sempre. E’ necessario un abbandono totale, l’annullamento del proprio “io” in un “Tu” e insieme la fiducia nella Chiesa di Cristo. E’ una scelta d’amore. Vertiginosa. In Trittico Romano, l’ultimo poema scritto da un’ormai anziano Wojtyla, è descritto l’abisso che si spalanca e il salto da compiere.
“Mi trovo sul limite della Sistina” scriveva Giovanni Paolo II nel 2003 ritornando al giorno della sua elezione. “La soglia del Verbo, in cui tutto era foggia invisibile,/ la divina e l’eterna – dietro questa soglia iniziano gli eventi!”. Nei versi polacchi, epici e sonori, l’idea che i cardinali, “comunità responsabile per il lascito delle chiavi del Regno” dovessero lasciarsi avvolgere dalla visione del Buonarroti per comprendere il Verbo. Ma anche che l’epilogo non potesse che essere unico. “Una finale trasparenza e luce./La trasparenza degli eventi-/La trasparenza delle coscienze -/Bisogna che, in occasione del conclave, Michelangelo insegni al popolo-/ non dimenticate: Omnia nuda et aperta sunt ante oculos Eius./Tu che penetri tutto – indica!/Lui additerà…”(Trittico Romano. Lev, 2003) Allora la fumata bianca, le campane a festa, il popolo che corre verso il centro del mondo mentre i bracci di Carlo Magno si dilatano, i minuti snervanti e la finestra della loggia centrale che si apre. E un nuovo Pietro da amare.