Ho sentito al telefono un caro amico. Di mestiere e per vocazione fa il sacerdote. Uno di quelli che piacerebbe molto a Papa Francesco. Misericordioso fino alla nausea, con un cuore immenso e l’animo buono. Riflettevamo insieme sulla grandezza di Dio e su quando è onnipotente. Dopo averlo stressato per un bel po’, Dio, si è commosso e ci ha mostrato, nella meschinità della nostra vita, la sua potenza e la sua giustizia. Così ci siamo trovati a recitare insieme il salmo 66, io tra il traffico romano, lui lavando i piatti in canonica. “Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti”. E ancora: “Esultino le genti e si rallegrino, perché giudichi i popoli con giustizia”.
Ciò di cui ci rendevamo conto con stupore e riconoscenza è che da sempre Lui sapeva cosa era bene per le nostre esistenze, ricolmandoci, dopo un tempo difficile, delle diverse grazie che gli avevamo chiesto. Dio sa sempre quello che fa. E’ che spesso, anzi quasi sempre, noi non gli stiamo dietro. Ed ecco che qui interviene Papa Francesco.
Il mio amico era grato per il “pacchetto Bergoglio”. Nella sua chiesa, dove pur si era dato da fare come un matto, si ritrova ad avere a che fare con “i cattolici di ritorno”: lavora con un matto, passa le ore in confessionale, viene chiamato, interpellato e interrogato da chi prima esibiva indifferenza se non disprezzo. Ed è felice come non mai. Si sente pieno di gioia. Ansioso di mostrare la bellezza della fede e la grandezza di Dio. Siamo, sia io che lui, in piena onda verde: imbrocchiamo tutti via libera ai semafori. E qui sta il problema: il differenziale è qualitativo, di fede, tra me e lui. Io vivo con l’ansia dello stop, del momento in cui mi andrò a schiantare, lui è talmente colmo di gratitudine, che la sua fede cresce a ritmi esponenziali.
Lo scarto è nell’Intelletto. L’ho scoperto seguendo la catechesi di Papa Francesco. Ieri ha spiegato, nella piazza ancora vibrante per le emozioni di domenica scorsa, cosa si intende per il secondo dono dello Spirito Santo. Chi mi conosce sa bene che non accetterei una misurazione comparata delle mie capacità intellettive, soprattutto con un essere di genere maschile. Non stiamo parlando del genere d’ingegno da quoziente, da soluzioni enigmistiche o da test attitudinali. Nel campo (modestia sotto i piedi) finisco sempre nella parte alta della classifica. Ma non significa, per questo, che abbondi di Intelletto. Anzi quanto al dono dello Spirito Santo difetto, e di brutto. Come gran parte dei cristiani che conosco.
Si tratta infatti – come da francescana spiegazione – “di andare al di là dell’aspetto esterno della realtà e scrutare le profondità del pensiero di Dio e del suo disegno di salvezza”. Papa Bergoglio parlava di una capacità che il Signore elargisce a chi lo ama. È la possibilità, tutt’altro che scontata, di “leggere dentro”, di “capire le cose come le capisce Dio, con l’intelligenza di Dio”. Ad esempio io posso capire e svolgere un algoritmo, e fin qui ci arriva la mia intelligenza umana. Ma non posso capire, senza l’Intelletto, il Mistero di un mondo definito da quel procedimento, il destino e il senso di quell’elemento ritrovato. Attraverso l’Intelletto scopro la mia intimità con Dio, “il suo disegno d’amore” su di me.
Scopro il rapporto tra l’algoritmo e la mia vita. È ovvio che tutti vorrebbero un dono così. Allora primo: cresimarsi. Non avete idea di quanti adulti cattolici snobbino il sacramento. E poi invocare lo Spirito Santo, perché questa capacità è strettamente connessa alla fede. Più apriamo il cuore allo Spirito più riusciamo a comprendere ciò che il Signore ha detto e compiuto. E papa Bergoglio ha fatto riferimento ancora una volta ai discepoli di Emmaus, tirati sempre in ballo, quando c’è da esemplificare sull’imbecillità umana. Ricordate i depressi che se ne vanno da Gerusalemme, sconsolati e disperati, talmente concentrati nella loro disperazione da non accorgersi che il compagno di viaggio è Gesù? Ebbene, improvvisamente capiscono tutto e diventano interpreti geniali delle scritture. E quando accade? Quando la presenza di Gesù riaccende in loro la Speranza.
Speranza e fede sono sinonimi a volte. Quando la nostra mente si apre, il nostro cuore si spalanca e siamo in grado di capire cosa accade, intorno e dentro di noi. Ecco allora perché bisogna desiderare sempre di più l’Intelletto, chiedere incessantemente questo dono dello Spirito Santo. Per scoprirsi così vicini al Signore da guardare come lui guarda, per abbandonarsi al suo disegno senza paura. Perché se si è con Lui tutto è risolto.