Alla fine di una lunghissima trattativa e di negoziati – a dir poco – difficili potrebbe chiudersi così come si è aperta la storia del salario minimo UE che era stato fortemente voluto dalle istituzioni europee per cercare di dare una risposta concreta all’indebolimento del potere d’acquisto che si vede in tutti i paesi Europei: la norma – ma ci torneremo a breve – era entrata ufficialmente in vigore già nel settembre del 2022 e aveva fissato come limite per il recepimento del salario minimo UE la data del 15 novembre 2024; non fosse che alcuni paesi si erano fermamente opposti alla normativa tanto da chiederne il parere della Corte europea.
Partendo proprio da qui, dopo un lungo ragionamento sulla direttiva del salario minimo UE, in questi giorni l’Avvocato generale della Corte di giustizia Nicholas Emiliou ha accolto positivamente il parere di Danimarca e Svezia che avevano ritenuto la norma incompatibile con i trattati alla base dell’Unione Europa: secondo Emiliou – infatti – la cosa migliore sarebbe “annullare integralmente la direttiva” perché viola il sacrosanto principio della sovranità nazionale violando le competenze dei singoli stati.
Salario minimo UE: cosa prevedeva e norma e cosa succede ora al testo bocciato dall’Avvocato generale
Insomma, secondo l’Avvocato generale Emiliou la norma sul salario minimo sarebbe da stralciare integralmente ed annullare, ma di contro è bene sottolineare che il suo è solamente un parere legale che non ha nulla di vincolante: la palla ora passa in mano alla Corte di giustizia europea che potrebbe anche decidere di ignorare il giudizio dell’Avvocato e respingere il ricorso di Danimarca e Svezia; ma di fatto quasi sempre i giudici tendono a seguire le indicazioni applicandole.
Tornando indietro nel tempo, differentemente da quanto si potrebbe pensare, la norma sul salario minimo non conteneva alcun tipo di obbligo per gli stati membri affinché introducessero una retribuzione garantita dalla legge per i cinque stati (tra i quali l’Italia, ma anche le ricorrenti Danimarca e Svezia) che si basano attualmente sulla contrattazione collettiva, non fornendo neppure indicazioni numeriche agli altri 22 che – invece – hanno una paga oraria legalmente definita: dal conto del nostro piccolo gruppo si sarebbe trattato di estendere la contrattazione ad almeno l’80% dei lavoratori (e l’Italia garantisce una copertura del 100%); mentre gli altri 22 avrebbero dovuto definire un quadro di aggiornamenti salariali chiaro, revisionandoli minimo ogni due anni ed attuare dei controlli maggiori.