Aumentano gli anziani e il loro bisogno di cure, ma mancano le risorse. Meglio ridurre bisogno e prestazioni, con la prevenzione e altre politiche

Uno degli argomenti che trova l’accordo di tutti coloro che parlano di sanità riguarda gli effetti che ricadono sul servizio sanitario per via dei cambiamenti demografici che sono in corso nella popolazione del nostro Paese. L’aumento numerico complessivo della popolazione (anche se da qualche anno questo andamento manifesta segnali contrari) ed il suo invecchiamento stanno provocando importanti modificazioni in tanti settori (scuola, mercato del lavoro, welfare, …) ma la sanità è probabilmente il comparto messo in maggiore sofferenza: aumento dei bisogni sanitari e degli associati consumi di prestazioni e servizi, aumento delle risorse necessarie per far fronte ai bisogni, diminuzione del personale disponibile nel mercato del lavoro, sono le problematiche più importanti mosse dai cambiamenti demografici, che si aggiungono a tante altre criticità del comparto che non hanno a che fare con la demografia.



E’ vero che c’è accordo nell’identificare questi problemi, ma poi i disaccordi emergono quando si passa al come affrontarli, cioè alle proposte che si ritiene di dover mettere in campo per superare i problemi.

Cominciamo col chiederci se questo processo è irreversibile o può essere in qualche modo governato con azioni diverse da quelle di tipo demografico che lo hanno generato: rimaniamo quindi nell’ipotesi di una popolazione che resta numerosa e che invecchierà sempre di più, aumentando quindi i bisogni sanitari. In questo quadro le proposte sono quasi monocordi e vanno tutte nella direzione di un aumento indiscriminato delle risorse, aumento che non essendo disponibile nella misura richiesta produce i noti fenomeni di uscita dal servizio sanitario per accedere a prestazioni private, oppure alla rinuncia alle cure, oppure ancora alla proposta di ripensamento di elementi fondamentali per il SSN come la definizione (al ribasso) dei LEA o la limitazione dell’approccio universalistico che ci caratterizza.



Nelle discussioni in corso uno degli argomenti poco frequentati, ma che risulta fondamentale per l’equilibrio di un sistema che la demografia sta scardinando, è il governo del bisogno sanitario e della conseguente domanda di prestazioni e servizi. È possibile governare (tenere sotto controllo, ridurre) il bisogno sanitario? È possibile limitare la domanda di prestazioni senza intaccare universalismo e LEA, e senza peggiorare lo stato di salute della popolazione? Le considerazioni che seguono provano ad indicare dei percorsi possibili per raggiungere entrambi gli obiettivi.

Fonte: Pexels.com

Il bisogno. Governare (ridurre) il bisogno vuol dire attuare comportamenti più salutari, attivare politiche sanitarie che riducano la necessità di ricorrere a prestazioni e servizi sanitari oppure spostare tale necessità a età più anziane, ma vuol dire anche che non sia solo la sanità ad agire ma che entrino in campo anche tutti gli altri settori della vita pubblica e privata: scuola, lavoro, ambiente, trasporti, e così via. È l’idea di “salute in tutte le politiche” perché tutte le politiche possono contribuire ad implementare attività il cui esito è il miglioramento della salute dei cittadini.



Se da una parte i dati sulla attesa di vita ci dicono che la vita si sta allungando e quindi è inevitabile che si vada incontro ad un aumento dei bisogni sanitari, dall’altra gli stessi dati ci informano che è in aumento anche l’attesa di vita in buona salute, cioè la durata media della vita senza malattie, senza handicap, senza limitazioni funzionali. In altre parole è in aumento la durata della vita dove i bisogni sanitari sono minimi e, aspetto molto interessante, questa vita in buona salute si sta allungando di più della durata complessiva della vita, riducendo quindi il periodo della vita vissuto con acciacchi, dove cioè i bisogni sono maggiori.

Attraverso la prevenzione individuale (stili di vita, dieta, hobbies, …) e di popolazione (educazione, lavoro, ambiente, …), e l’approccio “salute in tutte le politiche”, è possibile ridurre i bisogni sanitari e ridurre il periodo in cui la vita manifesta le sue maggiori domande di accesso ai servizi ed alle prestazioni sanitarie.

La domanda. Se la riduzione (governo) del bisogno è il primo percorso logico per contrastare efficacemente gli effetti sanitari negativi associati ai cambiamenti demografici, il secondo percorso è la riduzione della domanda: diverse iniziative ed atteggiamenti sono possibili per raggiungere questo obiettivo.

Stiamo vivendo un periodo di eccessiva medicalizzazione del SSN. Da una parte i fornitori di servizi e prestazioni (offerta) eccedono nel proporre attività sanitarie di discutibile effetto adottando interventi medici anche quando esistono alternative di altro tipo di supposta pari efficacia e minore costo, o adottano comportamenti che incentivano la prescrizione di prestazioni della cui necessità si può discutere; dall’altra il cittadino-paziente autoistruitosi attraverso gli strumenti della comunicazione informatica oggi disponibili (internet, chat, associazioni, …) ha aumentato le sue richieste (o pretese) nei confronti del SSN per ottenere prestazioni mediche ritenute necessarie per il miglioramento del proprio stato di salute. In definitiva: si fanno più prestazioni di quelle che servono.

Nella stessa direzione agisce la medicina difensiva: per proteggersi dall’aumento di contenzioso tra cittadini e operatori sanitari (in particolare medici) che caratterizza il periodo che stiamo vivendo il personale sanitario eccede in prescrizioni al solo scopo di difendersi di fronte a potenziali accuse di non aver fatto tutto quello che poteva servire per curare un determinato paziente.

Seguendo il motto “melius abundare quam deficere” sia la medicalizzazione della salute che la medicina difensiva conducono ad un eccesso di prestazioni, ad un atteggiamento che favorisce sia l’inappropriatezza della domanda che l’inappropriatezza erogativa. Da questo punto di vista, ad esempio, è frequente la lamentela di molti cittadini anziani che ricordano come fosse diverso l’atteggiamento dei loro MMG quando erano giovani rispetto ai MMG di oggi, allorché i primi si prendevano maggiormente carico di persona di attività e compiti che oggi vengono invece devoluti alla prescrizione di prestazioni da ottenere dal SSN.

Ma l’inappropriatezza della domanda e dell’offerta non riguarda solo la quantità (e tipologia) di prestazioni prescritte o erogate, interessa anche il luogo di erogazione (meglio: il livello di assistenza LEA). È noto che il livello ospedaliero è il livello più costoso di assistenza (500-700 euro di costo medio per ogni giornata di degenza) e di conseguenza tenere in ospedale un paziente le cui necessità di assistenza (prestazioni comprese) possono essere parimenti assolte in un altro livello assistenziale (territorio, abitazione, …) rappresenta un evidente spreco di risorse.

E’ l’idea che è alla base delle proposte contenute nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza): le case e gli ospedali di comunità dovrebbero proprio avere l’obiettivo di riequilibrare l’attuale (squilibrato) rapporto tra assistenza ospedaliera e assistenza territoriale (distrettuale) nella direzione della seconda, che per tanti aspetti della domanda (in particolare, ma non solo, legati alla assistenza ai soggetti con condizioni o malattie croniche) rappresenta una soluzione più appropriata e più economica.

E si può continuare con altri esempi, anche minori: mi meraviglia sempre, per dire, la quantità di medicinali che si buttano (perché scaduti) a causa di confezioni che contengono molto più farmaco di quanto sia realmente necessario (non mi riferisco ovviamente ai farmaci per la cronicità, ma a quelli che si usano per esigenze occasionali, saltuarie, estemporanee). E così via.

Se la demografia spinge inequivocabilmente verso un maggior bisogno sanitario, una crescita della domanda di prestazioni, e quindi una maggiore necessità di risorse, la leva e la risposta economica non sono l’unica soluzione possibile: in quanto precede si è mostrato come possono essere efficaci interventi sanitari e non sanitari (salute in tutte le politiche) orientati alla riduzione del bisogno e al governo (controllo, riduzione) della domanda di prestazioni. Purtroppo però è molto più facile reclamare più soldi dal governo di turno che attivare le più impegnative attività che possono portare ad una riduzione del bisogno e della domanda di prestazioni sanitarie.

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