Ci vorrebbe Erasmo da Rotterdam e il suo Elogio della follia per descrivere il clima che in questi giorni ha avvolto il Bel Paese. Dal 7 all’11 febbraio l’Italia si è fermata, concentrata sull’evento canterino nazionale è rimasta letteralmente prigioniera del Festival di Sanremo 2023. Entusiasti e detrattori, tutti a discettare su Ferragni, Fedez, Rosa Chemical con grande gioia della Rai che in Sanremo vede, giustamente, la gallina dalle uova d’oro.
Da parte nostra non entreremo nella mischia. Ciò che registriamo è quello che è sotto gli occhi di tutti: un bisogno estremo di evasione, di divertissement direbbe Pascal, di non guardare la realtà. Quella nuda e cruda che i Tg espongono nei servizi giornalistici della prima parte per poi passare, nella seconda, al riso e alla festa. In questi giorni lo spaventoso terremoto in Turchia e in Siria, unito alla guerra sporca ed infame che da un anno devasta la povera Ucraina con 200.000 morti distribuiti, equamente tra russi ed ucraini, è fonte di tristezza senza fine. Guerra e terremoto che sono venuti dopo due anni di Covid che hanno piagato l’Europa, l’America, il mondo.
Ce ne sono di ragioni per fuggire, evadere, immaginare il mondo patinato e surreale del palco dell’Ariston! Ed è quello che tanti fanno, gli anziani sognando un Sanremo che non esiste più da anni, i giovani catturati da modelli che incarnano, furbescamente, modelli di libertà. Ce n’è per tutti e la coppia Morandi-Amadeus, con la Ferragni al centro, incarna il vecchio e il nuovo, la tradizione e la trasgressione. Una sorta di balance of powers che, come in una Tribuna politica del passato, governa i salotti Rai e quelli Mediaset. Lo spettacolo innanzitutto!
Di fronte alla suggestione ogni critica appare moralistica, fuori luogo, un genere elitario motivato, agli occhi dei più, da una sorta di risentimento, dalla casta dei perdenti che non è partecipe del presente. Nondimeno l’urlo della tragedia è innegabile e nessuna evasione può celarlo. Passare dalle lacrime di compassione al riso e alle battute, alla ginnastica sessuale in diretta, è un’acrobazia che richiede allenamento, o meglio, ottundimento delle coscienze. Le tragedie del mondo non sono amabili, non vorremmo vederle, ma esistono e sono tra noi. La guerra in Ucraina coinvolge direttamente l’Europa la quale, passo dopo passo, si sta infilando in un tunnel che pare non avere uscite. Di fronte a ciò i popoli europei appaiono inerti, attoniti, incapaci di reagire. Al pari di ciò che rimane delle forze politiche, prive di idee e di respiro ideale. Nei giorni dell’ Ariston l’unico gesto che apriva sul mondo, a parte il monologo di Benigni sulla Costituzione, era la lettera di Zelensky., letta a tarda notte da Amadeus.
Secondo il presidente ucraino: “Da più di sette decenni, il Festival si sente in tutto il mondo con la bellezza, la magia e la vittoria: Ogni anno, sulle rive del Mar Ligure, vince la canzone, la musica e l’arte, le migliori creazioni della civiltà umana. Sfortunatamente, l’umanità crea non solo cose belle e nel mio Paese oggi si sentono spari ed esplosioni”.
Le canzoni in Ucraina sono fatte di “spari ed esplosioni”. Nulla di tutto ciò, nulla nelle canzoni, nelle parole, nei sermoni moraleggianti, negli stucchevoli inni libertari, è risuonato a Sanremo. Il Festival deve il suo successo al collocarsi rigorosamente fuori dalla storia, all’oblio, al bisogno di evasione. Bisogno che non si manifesta solo a Sanremo. Anche a Venezia dame e damerini mascherati, intervistati, confessano candidamente il bisogno di evasione in questi tempi oscuri. “Occorre distrarsi”, viva il Carnevale! Una scenografia scintillante, colorata, che vista con gli occhi della guerra e del terremoto appare simile alla mascherata inquietante messa in scena da Stanley Kubrick in Eyes Wide Shut. Tutti fuggono. L’umanità lo ha sempre fatto dopo i grandi orrori.
Dopo il Terrore viene il Termidoro e le sue frenesie sessuali, dopo la prima guerra mondiale abbiamo i sogni di Weimar e l’”età del Jazz” in America, dopo la seconda guerra mondiale e gli anni duri della ricostruzione abbiamo la “dolce vita” degli anni ’60. Nessuno ama il dolore, soprattutto se è prolungato. Occorrono energie morali ed ideali forti per opporsi attivamente al male. Quelle che mancano oggi, anche nella politica. Benigni ha tessuto a Sanremo un bell’elogio della Costituzione. Ha ricordato l’articolo 11 per cui: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
La Costituzione è legata però alla vita di un popolo, ne rappresenta l’autocoscienza, civile e politica. C’è ancora un popolo che si impegna attivamente per la pace nel nostro Paese? Ci sono forze politiche capaci di dare voce al desiderio di pace che, nonostante tutto, è presente nell’animo dei più? Il palazzo e la Rai non possono servirsi di Sanremo per tacitare le coscienze, per favorire la fuga da una realtà che richiede risposte, consapevolezza dei problemi, coraggio di manifestare. All’Ariston si è parlato molto di libertà sessuale, il grande argomento della distrazione di massa della ideologia libertaria, nulla abbiamo udito sul dolore dei popoli oppressi, nulla contro la guerra. Le canzoni di protesta della beat generation sono parse lontane anni luce dal carnevale sanremese. Eppure è di quella musica e di quelle parole che abbiamo più che mai bisogno.